I sogni di Gauguin
In mostra a Milano le tele visionarie che aprono una stagione nuova, in cui l’antico si fonde con il selvaggio
Paul Gauguin è un artista più noto che conosciuto. Tutti ne hanno sentito parlare, ma pochi ricordano qualcosa al di là degli aneddoti. Gauguin nasce a Parigi nel 1848, ma è un francese anomalo. Trascorre l’infanzia in Perù e poi alcuni anni in mare, oltre a compiere altri viaggi. E già questa giovanile esperienza nomadica può far comprendere la sua insoddisfazione per la cultura occidentale, che lo porterà nel 1891 a partire prima per Tahiti e poi per le ancor meno civilizzate Isole Marchesi. Francese, certo, è la sua cultura: studia gli impressionisti, soprattutto Pissarro, e poi Millet e Puvis de Chavannes. Alla pittura, comunque, inizia a dedicarsi solo negli anni Ottanta e la sua prima esperienza significativa avviene nel piccolo villaggio di pescatori di Pont-Aven, in Bretagna, dove si trasferisce nel 1888 con un gruppo di pittori più giovani come Bernard e Sérusier. A Pont-Aven dipinge anche il suo primo capolavoro, La visione dopo il sermone. L’opera è il vero manifesto di tutta l’arte di Gauguin. Il quadro rappresenta un gruppo di contadine che ha ascoltato, durante la Festa del Perdono che si svolgeva a settembre, una predica incentrata sulla lotta di Giacobbe con l’angelo (Gn 32,22-32). Quell’episodio le ha scosse profondamente e in seguito, mentre recitano il rosario, sembra loro addirittura di vederlo. Gauguin le dipinge con le loro cuffie bretoni mentre pregano, alcune con gli occhi chiusi. La scena è immersa in un rosso dilagante, febbrile: un colore che non appartiene alla natura, tantomeno nella Bibbia perché la lotta, secondo la Genesi, si svolge di notte. L’arte, intende dire il pittore, non rappresenta quello che si vede, ma quello che non si vede. «Bisogna sognare di fronte alla natura», amava dire Gauguin.