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I santi amici di Dio, profeti grandi e imperfetti

La santità non è la qualità di coloro a cui possiamo riconoscere una vita perfetta, ma di uomini e donne delle beatitudini che hanno vissuto la tensione di una strada mai conclusa

​Ermes Ronchi

In quasi tutte le religioni, la santità sembra costituire uno dei temi centrali del­l’esperienza religiosa. Nella stessa antichità classica erano considerate sante tre categorie di persone: i sacerdoti, gli eroi e i poeti. Li univa l’assunto che erano in grado di introdurre una novità nella storia, di modificare gli eventi, di aggiungere un di più. Santi, perché portatori di un incremento, un’intensificazione, un accrescimento di vita.
L’eroe portava un “di più” di forza che muoveva le vicende e le piegava in una direzione nuova.
Il sacerdote portava un “di più” nei giorni di tutti, mettendo in comunicazione l’alto e il basso, uomini e dei, terra e cielo, attraverso la preghiera e l’offerta dei sacrifici.
Il poeta era detto santo perché intuiva mondi nuovi nelle pieghe oscure dei giorni, illuminava di straordinario le vicende ordinarie, le cose più umili diventavano angeli rivelatori, la sua parola era creatrice: «un solo verso può fare più grande l’universo» (David Maria Turoldo).
Il santo è colui che immette nel mondo quel di più di profondità, quel captare l’altro passo nelle relazioni, l’altro versante delle cose, un di più di coraggio, di forza, di poesia, di amore.
“Santo” è il corrispettivo italiano del termine ebraico qadosh, che denota qualcosa di separato, esclusivo, riservato o consacrato a Dio; indica la condizione di chi o di ciò che è messo da parte per il servizio di Dio. Santo è un luogo, un monte (Es 3,5), il tempio, il cielo, il bottino, la città di Gerusalemme, il sabato, i sacerdoti, il giubileo, il popolo separato dagli altri popoli. Santo è qualsiasi oggetto o persona messa da parte per Dio.
Forse la prima caratteristica biblica della santità è di assimilare la persona a un Altro, farne un’immagine viva e somigliante, poiché il comparante, il paragonante della santità è Dio: siate santi perché io sono santo (Lv 11,44.45; 19,2).
Qui troviamo il principio ermeneutico per interpretare la storia dell’alleanza tra cielo e terra: ogni indicativo divino (io sono santo) diventa un imperativo umano (siate santi); ogni descrizione di Dio va intesa come prescrizione per l’uomo (Gerhard Von Rad), ogni attributo divino diventa un destino umano. Nella Bibbia non è Dio a essere descritto con un linguaggio antropomorfo, ma al contrario è l’uomo letto come “teomorfo”, fatto cioè a immagine e somiglianza del Signore delle Alleanze. Fondamento e compimento di tutta l’etica biblica: fare ciò che Dio fa, agire come agisce Dio.
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