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I giorni del Calvario raccontati dagli artisti

Dall’Ultima Cena alla salita al Calvario, dalla Pietà fino alla Resurrezione. Attraverso lo sguardo dell’arte, i tre giorni che hanno cambiato la storia

​Timothy Verdon

«Muoio, dice il Signore, per vivificare tutti per mezzo mio». Queste parole, che un Padre della Chiesa, san Cirillo d’Alessandria, s’immaginava sulla bocca di Cristo, suggeriscono il paradosso cristiano di una morte che produce vita, e, nello specifico, un pastore che accetta la croce perché le pecore possano pascolare tranquille. «Con la mia carne ho redento la carne di tutti», prosegue il Cristo del testo di san Cirillo, e spiega che «la morte infatti morrà nella mia morte, e la natura umana, che era caduta, risorgerà insieme con me. Per questo, infatti, sono divenuto simile a voi, uomo cioè della stirpe di Abramo, per essere in tutto simile ai fratelli» (Commento sul Vangelo di san Giovanni, 4,2).
Si tratta del mistero centrale della fede e delle espressioni culturali da essa scaturite, tra cui l’arte sacra. L’immagine che ne riassume il senso è il cosiddetto “Vir dolorum” o “Uomo dei dolori”, conosciuto anche come “Imago Pietatis”, “icona della Pietà”; tra molti possibili esempi, ha particolare eloquenza la tavola di Andrea Mantegna in cui il Salvatore vivo, seduto sull’orlo del proprio sarcofago, mostrando le ferite rimarginate sembra rivolgersi allo spettatore, come nel testo di Cirillo d’Alessandria. Simili immagini traducono la figura isaiana del servo di Dio che «si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori»: «trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità», ma per le cui «piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,3-7).
Queste citazioni – familiari ai cristiani perché associate a Cristo negli scritti neotestamentari come nella liturgia – suggeriscono poi il pathos con cui gli artisti hanno raffigurato ogni momento della Passione di Gesù, a partire dall’Ultima Cena in cui, la notte prima di morire, il Salvatore offrì nel pane e nel vino il corpo e il sangue immolati il giorno dopo sul Calvario. Non è un caso che Leonardo, nel Cristo del Cenacolo di Santa Maria delle Grazie a Milano, si sia servito della stessa posa a braccia aperte proposta poi dal Mantegna. Va ricordato che, nel refettorio dei frati, di rimpetto al Cenacolo leonardiano, vi è un grande affresco della Crocifissione, opera di Donato Montorfano. Il Gesù di Leonardo non solo è cosciente di ciò che gli sta per accadere, ma se alzasse gli occhi vedrebbe sé stesso all’altro capo della sala con le braccia stese nella morte.
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