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I Magi e la teologia delle stelle

Dietro il fiabesco ricamato dagli apocrifi ci sono personaggi reali e simboli profondi

​Gianfranco Ravasi


Era il 614 e la basilica di Betlemme, eretta attorno al 325-330 dalla madre di Costantino, Elena, e ristrutturata un paio di secoli dopo da Giustiniano, era assediata dal re persiano Cosroe che aveva già raso al suolo tutti gli edifici sacri cristiani della Terra Santa. Il sovrano stava già per ricorrere al fuoco e alle balestre quando s’accorse che sul frontone della basilica della Natività di Cristo erano raffigurati alcuni personaggi vestiti proprio come lui: erano i Magi, che i bizantini avevano tratteggiato in abiti da cerimonia persiani. Quella chiesa, che racchiude nella cripta la grotta della nascita di Cristo, fu così salvata ed è ancora oggi possibile visitarla penetrandovi per un’unica porticina detta simbolicamente “dell’umiltà”, ma forse più prosaicamente destinata a impedire ai cavalieri ottomani di accedere a cavallo nelle cinque navate dell’interno.
Il racconto di Matteo che riguarda i Magi (2,1-12) è sobrio, sebbene non privo di colpi di scena ed è tutt’altro che fiabesco, anche se la tradizione artistica e popolare successiva si è lasciata conquistare dalle sue componenti narrative. Pensiamo, ad esempio, alle innumerevoli Adorazioni dei Magi di pittori celebri e ignoti, oppure al bel romanzo di Michel Tournier Gaspare, Baldassarre e Melchiorre (1980), al film Cammina cammina di Ermanno Olmi (1983), alla ballata che Thomas S. Eliot dedicherà ai Magi nel 1927. Facile è, poi, ricorrere ai cosiddetti Vangeli apocrifi, testi nati dalla pietà popolare del cristianesimo primitivo, che hanno inciso soprattutto nella tradizione artistica posteriore. Uno di essi, lo Pseudo Matteo (VI secolo, ma su base più antica), scriverà: «I Magi offrirono ciascuno una moneta d’oro» al Bambino, ma aggiunsero un dono personale: Gaspare la mirra, Melchiorre l’incenso, Baldassarre l’oro. Si costituiva così la tradizione popolare dei tre Magi, con nomi precisi e, a causa dei doni e di un Salmo (il 72: «I re di Tarsis e di Saba offriranno tributi, a lui tutti i re si prostreranno»), furono dotati di dignità regale. Per non dire poi che in essi si tenterà di riassumere tutto lo spettro dei colori etnici: l’uno verrà identificato come un bianco, l’altro come un giallo e il terzo come un moro, mentre le loro ipotetiche reliquie approderanno, attraverso complesse vicende storiche, a Milano e a Colonia.
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