I 600 anni della cupola di Brunelleschi
Quando messer Filippo mise il cielo in mezzo a Firenze
Antonio Natali
Cade in quest’anno 2020 il sesto centenario dell’avvio ai lavori della cupola di Filippo Brunelleschi per il Duomo di Firenze. L’attuale Opera di Santa Maria del Fiore ha reputato che la ricorrenza meritasse d’essere degnamente celebrata e che il modo più pertinente per farlo fosse quello di seguire la strada di coloro (“Operai” del Duomo, essi pure) che a Brunelleschi allogarono il progetto e la cura della cupola.
Non c’è sistema migliore per onorare i nostri padri che raccoglierne l’eredità spirituale e culturale; che non vuol dire limitarsi a tutelare – com’è d’altronde doveroso – un lascito materiale ricchissimo; significa bensì fare nostre le virtù eminenti che informarono le loro scelte. Per conservare un patrimonio d’arte occorrono sapienza e conoscenze tecniche; per emulare gli uomini che di quello stesso patrimonio furono i promotori bisogna tentare di recuperarne le qualità intellettuali e morali: il coraggio, la spregiudicatezza e, ovviamente, la cultura; senza la quale quelle doti diventano vizi. Invece ci s’illude d’essere buoni eredi per l’impegno che si mette nella conservazione di beni gratuitamente pervenutici. Inerti, si resta al cospetto della storia; in cui non recitiamo nemmeno il ruolo di comparse e che, quasi inavvertita, passa sotto le finestre cui rimaniamo affacciati.
Per celebrare la cupola e Brunelleschi, e nel contempo onorare la memoria di coloro che di lui intuirono l’eccellenza affidandogli il compito terribile di voltare il presbiterio della cattedrale, l’odierna Opera del Duomo ha voluto ravvivare la pratica della committenza, ch’era in antico esercitata da privati (ricchi e cólti), ma segnatamente dalle istituzioni religiose (parimenti cólte). Una committenza cui gli Operai fiorentini d’epoche differenti hanno fatto ricorso con Arnolfo di Cambio, con Giotto, con Ghiberti, con Donatello, e su su fino a Michelangelo. Con questa convinzione e con questo spirito sono stati invitati alcuni poeti e musicisti, fra i maggiori italiani, a comporre testi teatrali e musicali che fossero ispirati alla cupola e al suo artefice. Tutto ora è pronto per essere pubblicamente rappresentato e goduto. Vedremo quando la malignità della sorte lo consentirà. Intanto però s’è comunque avallato il valore del mecenatismo. La committenza è l’unica via per tener desta l’aspirazione creativa che vive in ognuno. Chi possa battere questa via – avendone i mezzi – ha il dovere di farlo, sennò la nostra generazione è destinata soltanto a rimpiangere un passato dorato, senza offrire nulla (se non un’asettica tutela) a chi verrà dopo.