Grosseto, tutta fortezza e chiesa
La capitale della Maremma è stata roccaforte di Siena, cittadella medicea, ma anche un importante centro religioso
Al viaggiatore di oggi, Grosseto non si presenta immediatamente con gli alti profili dei suoi bastioni cinquecenteschi, come accadeva fino alla fine del XIX secolo: la piccola ma perfetta città militare medicea con la sua pianta esagonale, ancora intatta, e i suoi calcolati profili di macchina difensiva, si è ampliata oltre le mura, rimaste integre, per dare ospitalità a una comunità multiregionale. Dall’inizio del XX secolo e nel periodo post bellico Grosseto ha perso la sua fisionomia originaria per lasciare spazio allo sviluppo edilizio in risposta a un forte fenomeno di immigrazione, chiamata dalla nuova richiesta di forza lavoro. Fin dai tempi medicei la Maremma si è fondata sulla convivenza di genti diverse, dedite alle pratiche militari e all’agricoltura. I granduchi, con esiti più o meno felici, mettevano a disposizione appezzamenti e salvacondotti pur di attrarre gente a lavorare una terra potenzialmente ricchissima (sale, grano, pesce, bestiame, legname) ma anche molto avversa per le sue condizioni ambientali. Le intuizioni di Cosimo I, il primo a capire che la terra di Maremma, se regimentata, poteva essere una riserva di cibo assicurata, poi quelle illuministe di Leopoldo di Lorena, vero artefice del risanamento e della bonifica, infine quelle del Ventennio fascista si sono realizzate appieno nel secondo Novecento, da quando una popolazione stabile, unita a una qualità ambientale finalmente garantita, ha dato il via alla storia odierna, quella della Kansas City narrata con passione da Luciano Bianciardi: «Noi andavamo spesso a vedere crescere la nostra città, a vederla avanzare vittoriosa dentro la campagna, contro la campagna, a conquistare altro terreno. Si muoveva, si muoveva sensibilmente, a vista d’occhio, la nostra città; lanciava, come un drappello ardito, un gruppo di case nuove, che si lasciavano alle spalle, in una sacca, orti e prati, un po’ di verde ancora odoroso di campagna e di letame, che rapidamente intristiva e seccava. Noi eravamo entusiasti di questa marcia vittoriosa, ed ogni sera ne parlavamo come di un fenomeno assoluto ed eccezionale» (Il lavoro culturale, 1957).
di Marcella Parisi