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Gli scrittori sul Golgota

Innumerevoli autori hanno ripercorso nelle loro pagine la Passione di Cristo, vera storia delle storie

​Gianfranco Ravasi

Il celebre autore dei Racconti di Canterbury, Geoffrey Chaucer (1340 circa - 1400), intuiva già che i racconti della Passione di Cristo sono stati redatti dagli evangelisti da angolature diverse e con ideali “inchiostri” narrativi e teologici differenti. Nel Racconto di Melibeo scriveva: «Voi sapete che ogni evangelista non ci narra il martirio di Gesù Cristo totalmente allo stesso modo del suo compagno. Eppure tutti i loro racconti sono veri e tutti concordano nel senso che, se pur vi sono discrepanze nel modo del narrare – perché uno dice di più e l’altro di meno nelle pagine che descrivono la sua compassionevole passione – il significato generale è però indubbiamente uno solo».
Gli evangelisti sono, quindi, già loro scrittori, ma attorno ai loro testi si è aggregata nei secoli successivi una folla immensa di autori che hanno ricreato, attualizzato, trasfigurato e fin deformato quelle vicende narrate. È impossibile inseguire questa imponente sequenza di testi che scandiscono ogni momento di quella storia che rivive ancor oggi nella Settimana Santa, provocando e commovendo. La nostra sarà, perciò, solo una libera rievocazione esemplificativa che scandirà qualche tappa di quell’itinerario di dolore e di solitudine percorso da Cristo, un soggetto divenuto anche un’incessante fonte iconografica per gli artisti di tutti i secoli.
«Ponzio, ti ricordi di Gesù il Nazareno che fu crocifisso non so più per quale delitto? Ponzio Pilato aggrottò le sopracciglia, si portò la mano alla fronte come chi vuole ritrovare un ricordo. Poi, dopo qualche istante di silenzio: Gesù – mormorò –, Gesù il Nazareno? No, non ricordo». Così lo scrittore francese Anatole France nel racconto Il procuratore di Giudea (1902) fa reagire un Pilato, ormai pensionato, alle sollecitazioni dell’ex collega governatore di Siria. Nella sua memoria si era spenta l’eco di quel processo che anche lo storico giudaico Giuseppe Flavio ha evocato nell’opera Antichità Giudaiche e Tacito ha registrato nei suoi Annali, ma che agli occhi di quell’alto funzionario imperiale risultava insignificante. Una sentenza – come scriverà lo studioso inglese Samuel G. F. Brandon (1907-1971) nel suo Processo di Gesù (1968) – divenuta «la più importante della storia dell’umanità. Nessuna azione giudiziaria intentata contro una persona è conosciuta da un numero altrettanto grande di persone. Gli effetti del processo di Gesù sulla storia umana sono incalcolabili». I più celebri casi giudiziari, come quello contro Socrate ad Atene nel 399 a.C. o quello che mandò al rogo Giovanna d’Arco nel 1431, o quello aperto dall’Inquisizione nei confronti di Galileo nel 1633, impallidiscono di fronte alle due sbrigative sessioni processuali – durate poche ore e celebrate davanti alla massima autorità giudaica, il Sinedrio, e a quella imperiale del procuratore romano – che condannarono alla pena capitale il predicatore ambulante galileo di nome Gesù di Nazaret, forse nella primavera dell’anno 30.
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