Eremiti, testimoni contemporanei
Abitano in montagna, in città, sono laici e religiosi. Una vocazione antica ma che trova nel silenzio le verità per parlare al presente
Roberto I. Zanini
Gesù si muove nella folla. Attraversa il dolore umano, il vociare di richieste, pretese, desideri. Fra i tanti ci sono coloro che ambiscono solo di sfiorarlo. Il lembo del mantello... «e quanti lo toccavano venivano salvati» (Mc 6,56). Una donna si avvicina pensando che questo le sarà sufficiente per uscire da anni di malattia e di umiliazioni. Non parla, non chiede, non spinge, non urla, ma nel nascondimento dell’umile che ha perduto persino le parole e non ha altro che lacrime, tocca un “lembo del mantello”. Il suo è il silenzio della fede che si affida, che misteriosamente apre alla comunicazione e rende capaci di accogliere la grazia che sgorga dal cuore misericordioso di Gesù. A volte accolta per sé, tante altre per farne dono nella preghiera di intercessione.
Questa, in fondo, è la vita degli eremiti. Il silenzio dell’eremo può essere compreso partendo da qui. «Cercate il Signore mentre si fa trovare, invocatelo mentre è vicino» (Is 55,6). Lui c’è, cammina fra noi, ci parla. Nel silenzio possiamo vederlo, ascoltarlo, persino toccarlo. «Il silenzio è preghiera che rende capaci di raggiungere il mantello di Gesù ed essere pervasi dal suo Spirito, dalla sua forza di vita», spiegano Vincenzo e Franca di Eremo di famiglia. In questo, il silenzio dell’eremita è un desiderio di intimità col Cristo, così che la comunicazione diventi intensa fino a rendersi capace di coinvolgere il mondo intero. «Il silenzio ci fa soli e nello stesso tempo ci dona a tutti», sottolineano ancora Vincenzo e Franca, che hanno fatto del silenzio una scelta di vita. Da oblati camaldolesi (lui è anche diacono) hanno assunto la preghiera eremitica come vocazione e in quanto marito e moglie la vivono come un dono per la famiglia, per la vita, per il mondo. Il loro eremo è la casa in cui hanno cresciuto i figli (ormai sposati) a Castelforte, in provincia di Latina. Con la benedizione di padre Innocenzo Gargano e di madre Michela Porcellato del monastero di Sant’Antonio Abate di Roma, che da sempre sono, per loro, guida e radicamento nell’Ordine camaldolese, lo hanno chiamato “Eremo Aquila e Priscilla”, come i santi coniugi che nel nascondimento, nel lavoro e nella preghiera hanno accolto e aiutato Paolo nel suo ministero: «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo» (Eb 13,2). Perché il silenzio è laborioso e lascia spazio per chiunque bussi alla tua porta: «Il silenzio è la strada che il soffio dello Spirito ci ha suggerito per vincere il frastuono del mondo, che ingabbia nel buio tante famiglie come la nostra, e gettare lo sguardo sull’orizzonte di luce che Dio ci offre ogni giorno».
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