El Greco, l’ultima icona
A Treviso una mostra sugli anni italiani dell’artista che cercò l’incontro impossibile delle tradizioni d’Oriente e d’Occidente
Dominikos Theotokopoulos era nato a Candia, Creta, nel 1541. L’isola era allora un possedimento della Serenissima. I piani diversi dell’amministrazione “latina” e cattolica e la comunità greca e ortodossa si erano però tra loro mescolati. Gli stessi pittori vivevano una sorta di bilinguismo, creando sia pale d’altare per la Chiesa di Roma che icone ortodosse, spesso però forzandone il rigore tradizionale grazie anche alle suggestioni delle stampe che arrivano nelle stive delle galee veneziane. Non ultimo, Creta si trovava sul fronte caldo dello scontro con l’impero ottomano. Se El Greco ci pare così attuale è forse anche perché figlio di una sorta di globalizzazione ante litteram e di un’epoca di grandi frizioni geopolitiche che – allora come oggi – hanno nel Mediterraneo orientale il loro cardine.
«Ma seppure nato da famiglia ortodossa, Dominikos Theotokopoulos si era convertito al cattolicesimo». Per Lionello Puppi, curatore della mostra e studioso di El Greco fin dal 1963, è il punto fondamentale senza il quale l’artista ci sfugge. «Un passaggio non scontato e determinante. Io penso che la conversione, avvenuta certamente a Creta, lo abbia portato a posizioni radicali dal punto di vista religioso. La Lega Santa e le figure dei milites christiani sono al centro di molte sue opere italiane e possono spiegare committenze e legami sociali. Quella contro il turco per El Greco è una missione». Se la sua conversione permea la scelta di soggetti come La guarigione del cieco, la battaglia di Lepanto è al centro dell’Allegoria della Lega Santa. La militanza religiosa dovette essere legata anche a un’esperienza “politica”. La terza Lega Santa nasce in seguito all’attacco turco a Cipro, nel 1570. E il fratello di Dominikos arma una galea e combatte a fianco dei veneziani. Visto da Candia il Mediterraneo non è il deserto dei tartari.
di Alessandro Beltrami