Domenicani, santi in bianco e nero
La santità domenicana si riassume in una triade: consacrazione, predicazione e martirio
Gianni Festa
Quando si sente parlare di santi domenicani, il pensiero corre subito a Tommaso d’Aquino, Caterina da Siena, Vincenzo Ferrer, Martino di Porres, Pio V e Rosa da Lima. Ma è raro che si pensi subito al loro padre e fondatore, da cui pure trassero il nome con cui vengono comunemente designati. Ancora oggi Domenico di Caleruega (una volta detto di Guzmán, dal nome della famiglia nobile di cui era il più famoso esponente secondo una tradizione storiografica interna all’Ordine) è, tutto sommato, un personaggio poco noto, sicuramente non un santo popolare, a differenza di numerosi altri, assai più famosi. Tuttavia, il numeroso e universale corteo dei santi e sante – 87 santi, 305 beati, 27 venerabili, 119 servi di Dio – della famiglia domenicana deve a lui la propria identità. Esiste infatti un filo rosso che attraversa la storia della santità “in bianco e nero” e che lega gli uni agli altri martiri, vescovi e pontefici, predicatori e missionari, laici, monache e suore dalle origini dell’Ordine (1216) fino ad oggi. Questo filo è stato recentemente fatto oggetto di attenzione e di indagine in un convegno internazionale tenutosi a Roma nel novembre 2019, dal titolo “La politica della santità dell’Ordine dei Predicatori” e ai cui Atti rimando il lettore per i personali approfondimenti (cfr Fra trionfi e sconfitte: la politica della santità nell’Ordine dei Predicatori, a cura di Gianni Festa e Viliam S. Doci, Roma 2021).
Non è questa la sede in cui ripercorrere o rievocare la storia, anche solo schematica, di otto secoli di santità: mi basterà presentare e mettere in evidenza le qualità che definiscono o caratterizzano il cammino di santità secondo il carisma domenicano. E vorrei partire dalla figura di un vescovo, morto martire e beatificato nel 2018.
Non ho conosciuto personalmente Pierre Claverie (1938-1996). Quando morì ero un giovane sacerdote e la morte violenta di quel vescovo domenicano di Orano in Algeria mi colpì moltissimo e fu per me una grazia. Prigioniero di una “bolla” non “coloniale” ma “ideologica” e condizionato da letture e da idee pregiudiziali nei confronti del mondo islamico, urtato dall’uso della violenza e del terrorismo di certi gruppi fanatici e fondamentalisti, l’accostarmi alla vita e agli scritti di un confratello che per quel mondo aveva donato la sua vita nel nome di Cristo risultò liberatorio. Un dono dello Spirito Santo. Avevo incontrato un confratello che aveva meravigliosamente incarnato nella sua movimentata esistenza il carisma di san Domenico. Appresi che era stato fin da giovane molto incline e fedele alle amicizie; che scriveva bellissime lettere; che non si nascondeva dietro la lettera della dottrina, ma condiva la sua vita con il sale della passione.