Dipingere l'infinito è dare forma all’inimmaginabile
Anche se i loro dipinti sono perfettamente conchiusi gli artisti hanno dentro di sé «l’ansia dell’infinito»
Elena Pontiggia
Come può un artista dipingere l’infinito? Sembra impossibile racchiudere nel rettangolo di un quadro, ma anche nell’ampiezza monumentale di una parete, ciò che non ha limiti. Forse però occorre fare una distinzione. Se per infinito si intende la trascendenza e il nome stesso di Dio, non c’è arte di soggetto religioso che non lo esprima, se è veramente arte. Gli Oranti che alzano le mani verso il Cielo, dipinti nelle catacombe, danno l’idea nettissima che quel loro gesto, povero e persino maldestro, si rivolga a Qualcuno che è oltre il finito. E questo è solo un esempio tra gli infiniti (è il caso di dire) possibili. Ma non solo. Spesso gli artisti, nelle loro dichiarazioni di poetica, accennano a quel concetto, anche se dalle loro opere a prima vista non risulta. «L’arte mi ha dato l’ansia dell’infinito» diceva Maria Lai. Tutti i suoi lavori esprimono quell’ansia, anche se lo comprendiamo soprattutto guardando le sue Geografie, mappe insieme geometriche e visionarie dell’universo. Un artista, insomma, può essere animato da una tensione trascendente, anche se lo percepiamo solo a fatica.
Se però per infinito intendiamo l’espressione visiva dell’illimitato, allora le cose cambiano e gli esempi diventano più circoscritti. Vediamo. Potremmo muovere dall’Annunciazione (1472 circa) di Leonardo, conservata agli Uffizi, che proprio in questo periodo è al centro di un nuovo e felice allestimento. L’artista la dipinge sui vent’anni, quando è ancora a bottega dal Verrocchio, ma è già un capolavoro assoluto, anche per le varie innovazioni che presenta. Intanto per la prima volta Maria non si trova all’interno di una casa o sotto gli archi di un colonnato, ma all’esterno, in un giardino, a contatto con la natura. Naturali, poi, sono anche le ali dell’angelo, che non sono quelle tradizionali del pavone (simbolo dell’eternità), ma imitano un volatile vero. Maria, tra l’altro, sta leggendo un brano di Isaia: è una donna colta che conosce le Sacre Scritture. Lo sarà ancora per poco: nel Seicento le sue competenze si ridurranno molto e la vedremo piuttosto accanto a un cesto di biancheria da cucire, al massimo con un libro di orazioni. Quello che qui ci interessa è però lo sfondo dove, grazie alla prospettiva aerea, il paesaggio sfuma delicatamente e sembra dissolversi. Qualcuno ha notato che la resa prospettica non è perfetta e il digradare degli elementi è troppo brusco. Può darsi, ma se Leonardo all’epoca non conosceva tutte le regole dell’arte, ne conosceva già benissimo le leggi. Di fatto quelle montagne sospese nel vuoto come nuvole, che si perdono in una lontananza irraggiungibile, suggeriscono con un’intensità straordinaria la presenza dell’infinito che governa tutta la scena. Quello stesso Infinito che sta per entrare in modo visibile nella storia umana.