Dialogo atto secondo
Il padiglione della Santa Sede alla Biennale di Venezia costituisce una nuova tappa del riavvicinamento tra Chiesa e arti contemporanee
Il punto di partenza è l’indiscutibile registrazione riguardante il divorzio che si è consumato tra arte e fede (in particolare con la liturgia). Alle spalle abbiamo una storia totalmente differente e non è certo necessario ricorrere allo stereotipo della Bibbia “grande codice” della cultura occidentale, coniato da William Blake e approfondito dall’omonimo saggio del critico letterario canadese Northrop Frye (1982), per esprimere questo vincolo di sororità naturale tra arte e fede.
Quest’alleanza spontanea e feconda era durata a lungo, tanto che «i pittori per secoli hanno intinto il loro pennello in quell’alfabeto colorato che era la Bibbia», come affermava Chagall, considerandola una sorta di «atlante iconografico» o di «immenso vocabolario» (e quest’ultima è un’espressione dello scrittore francese Paul Claudel). Basterebbe sfogliare i tre grossi tomi che Louis Réau pubblicò a Parigi tra il 1955 e il 1959 sull’Iconographie de l’art chrétien, per documentare questo incessante connubio tra arte e fede. E, come giustamente suggeriva Ernst Gombrich, questa iconologia rispondeva a criteri ben precisi che non erano solo di indole estetica, ma si ancoravano al cuore stesso del messaggio cristiano......
di Gianfranco Ravasi