Dare immagine al per sempre
Dagli Egizi a Van Gogh passando per Giotto e Ingres la sfida di rappresentare l’eternità, tra simbolo e metafora
Elena Pontiggia
Qualcuno ha detto che nell’arte tutto parla di eternità. È vero. Una natura morta, per esempio, di Chardin, dove ci sono solo due mele, due castagne e una scodella di minestra, sottrae quelle povere cose alla vita di tutti i giorni e le immerge in un’atmosfera senza tempo, cioè in una dimensione di eternità. La considerazione diventa però più problematica alle soglie dell’arte moderna, quando l’impressionismo inizia a dipingere l’attimo fuggente. È vero che quell’attimo, fissato per sempre sulla tela, si dilata fino a uscire dal tempo, ma è anche vero che Monet e compagni volevano esprimere proprio il momentaneo. Per non parlare dell’Action Painting, che vuole testimoniare solo l’esistenza di un presente senza passato né futuro.
Ma, al di là di queste premesse, come l’arte ha rappresentato il concetto di eternità in senso proprio? Nell’Iconologia di Cesare Ripa del 1603, una sorta di enciclopedia che elenca tutti i modi in cui si possono esprimere in pittura i concetti astratti, l’eternità è rappresentata come una donna che, al posto delle gambe, ha due cerchi che si congiungono sopra la sua testa, simbolo dell’eterno ritorno del tempo, mentre sulla veste ha un ricamo di stelle e in mano ha due sfere d’oro, emblema l’uno e le altre di perennità. Gli artisti però non avevano aspettato quell’indicazione, comunque poco seguita, per esprimere quel concetto ed erano ricorsi ad altre immagini. Uno dei modi per evocare l’idea di eternità è la rappresentazione della morte, che introduce l’uomo oltre la soglia del tempo. Così accade nel Libro dei Morti, un insieme di papiri egiziani che vanno dal 1500 al 100 a. C., colmi di testi e formule per accompagnare i defunti nell’aldilà. La traduzione esatta del suo titolo sarebbe infatti “Il libro per riaffiorare alla luce”. Nel Papiro di Ani, conservato al British Museum di Londra, si vede l’anima di Ani che si inoltra verso l’eterno, condotta per mano dal dio Horus dalla testa di falco. Le due figure, come sempre nell’arte egizia, sono disegnate contemporaneamente di fronte e di profilo e sono governate da una geometria perfetta che dà un senso di assoluto, come i solidi dell’Iperuranio di cui parla Platone.
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