Dalle stelle alle erbe, innamorati del Creato
Cosmogonie, bestiari, erbari: come era ricca la cultura simbolica dove ogni creatura era un mondo e l’uomo racchiudeva l’universo
Marina Montesano
«Ogni creatura al mondo è come un libro, un dipinto, uno specchio per noi. Simbolo fedele della nostra vita, della nostra morte, del nostro stato, del nostro destino». Così cantava Alano di Lilla, filosofo e poeta del XII secolo, seguendo la massima pitagorico-neoplatonica: «ciò che è in alto è come ciò che è in basso». È nell’ambito della Scuola di Chartres, dove Alano si era formato, che negli stessi anni si andava elaborando la dottrina dell’uomo come “microcosmo”, secondo la quale la Provvidenza ordina i quattro elementi di cui è composta la materia (aria, acqua, terra, fuoco) per portare ordine e armonia nel cosmo; al termine di questa creazione, l’essere umano è plasmato con ciò che resta dei quattro elementi e diviene dunque sintesi (appunto, microcosmo) del cosmo intero, con il quale si crea un’affinità che consente una serie infinita di rispondenze tra uomo e natura. La Scuola di Chartres sviluppa una visione simbolica della realtà, dove ogni elemento della natura è interpretato come un segno o un simbolo del divino e dell’ordine cosmico. Il mondo naturale era immaginato come un riflesso dell’armonia e della saggezza divina, dove l’immensamente grande e l’immensamente piccolo si riflettono a vicenda: nulla accade in una parte dell’universo senza che si ripercuota sulle altre. L’essere umano è un microcosmo, “piccolo universo” concentrato, esattamente come tutto il Creato è un macrocosmo, “grande universo” esteso e dispiegato. Ogni costellazione e ogni pianeta - incastonati nei loro cieli eterei e mossi dalla forza impressa loro dall’empireo - possiede virtù che si proiettano nel mondo sensibile e sublunare, quello composto dalle sfere dei quattro elementi (fuoco, aria, acqua, terra), al cui centro, nel globo terrestre, vivono gli esseri animati – piante e animali – che sono costituiti da questi elementi, combinati in modo diverso in ciascuno di essi.
Su questo assunto si fondava anche l’apprezzamento dei filosofi di Chartres, e dei loro molti discepoli - diretti e indiretti, che in futuro ne raccoglieranno l’eredità -, per la magia naturale, intesa come scienza sperimentale. Le rispondenze tra uomo e natura consentirebbero, infatti, al primo di intervenire sulla seconda, al fine di conoscerla e per manipolarla; la natura stessa, lungi dall’essere materia inanimata, sarebbe percorsa interamente da un comune principio vitale. Prima dell’avvento della scienza sperimentale tra il XV e il XVI secolo, questa visione del mondo consentiva un accesso alla comprensione del funzionamento del cosmo, e al contempo forniva strumenti per decifrarlo. In quest’ottica, l’intero mondo animale, vegetale e minerale è soggetto all’influenza delle stelle e dei pianeti, e ne assorbe gli influssi. Anche l’essere umano, dotato di un’anima immortale donatagli dal soffio divino, partecipa di questo ordine e della complessa rete di norme che lo regola.
La scienza antica - ma anche medievale e umanistica - si concentra sullo studio di queste corrispondenze. I trattati noti come “bestiari”, “erbari” e “lapidari” - che descrivono i componenti dei tre regni naturali: animale, vegetale, minerale - offrono una chiave di lettura non tanto scientifica-naturalistica nel senso moderno (che pure è presente, specialmente sotto forma di descrizione delle “virtù”, ovvero delle caratteristiche, qualità e potenzialità terapeutiche di ciascuna specie), quanto piuttosto etica. Nessun animale, pianta o gemma è privo di un legame con un corpo celeste o di un simbolismo legato a un aspetto del mondo divino, angelico o demoniaco, o a un vizio o una virtù.
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