Dalla bella Eirene, millenni di allegorie
Nella storia dell’arte la guerra è un soggetto reale, la pace quasi una favola
Elena Pontiggia
Nel Pantheon affollatissimo degli dei greci e romani (gli dei “falsi e bugiardi”, come li chiama Dante) c’era anche la dea della pace. Si chiamava Eirene (da cui i nostri Irene e irenico: “pace” e “pacifico”, appunto) ed era venerata in molti luoghi, tra cui l’agorà di Atene, dove le avevano eretto un altare. In quella piazza si trovava anche la sua statua più famosa, fusa in bronzo da Cefisodoto il Vecchio, uno scultore vissuto fra il quarto e il terzo secolo prima di Cristo. Nelle numerose copie in marmo che ci sono rimaste Eirene, vestita di un peplo dal ricco panneggio, tiene in braccio Pluto (un nome che, ahimè, oggi richiama irresistibilmente il cane di Topolino, ma in realtà è la personificazione della ricchezza: la parola “plutocrazia” viene di lì). La pace, insomma, crea benessere, al contrario della guerra che produce crisi economiche, come ormai sappiamo anche per esperienza. Cefisodoto la rappresenta come una madre che guarda negli occhi, piena di amore e di orgoglio, il suo bambino. A sua volta Pluto vede solo lei: un quadretto tenerissimo, anche indipendentemente dalla simbologia.
Nella tradizione biblica invece la pace è spesso rappresentata come una colomba che porta un ramo di ulivo. Nel mosaico del duomo di Monreale, 1174-1175, Noè, ancora chiuso nell’arca, vedendo la colomba capisce che il tempo del diluvio universale è finito. È un episodio più noto che realmente conosciuto e forse è il caso di rileggere la pagina della Genesi che lo narra. «Noè fece uscire una colomba, per vedere se le acque si fossero ritirate dal suolo; ma la colomba, non trovando dove posare la pianta del piede, tornò a lui nell’arca, perché c’era ancora l’acqua su tutta la terra. Egli stese la mano, la prese e la fece rientrare presso di sé nell’arca. Attese altri sette giorni e di nuovo fece uscire la colomba dall’arca e questa tornò a lui sul far della sera; ecco, aveva nel becco un ramoscello di ulivo. Noè comprese che le acque si erano ritirate dalla terra. Aspettò altri sette giorni, poi lasciò andare la colomba, che non tornò più da lui». Nel mosaico di Monreale si vede anche il corpo di un affogato dilaniato da un corvo, mentre l’arca è un capolavoro di geometria, un teorema di quadrati e di triangoli. È un emblema di salvezza che contrasta con l’immagine della morte.
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