Cosmogonie e teogonie, il tempo sacro della Nascita
Attorno al solstizio d’inverno si incontrano miti e riti. Ma l’avvento di Cristo non è una cosmogonia come le altre
Franco Cardini
Ormai, dagli anni Cinquanta-Sessanta del secolo scorso, dopo le ricerche di Annie Joubert sul calendario di Qumran, e di Shemarjahu Talmon sul cosiddetto “turno di Abia”, l’ipotesi di un’effettiva nascita di Gesù nel giorno che noi celebriamo come la festa di Natale ha assunto una sostanziosa plausibilità. Senza tuttavia prender posizione su ciò, va comunque ricordato che ancora salda resta la tradizione, già viva nella prima metà del IV secolo – vale a dire nell’era costantiniana –, secondo la quale la Chiesa di Roma avrebbe introdotto la celebrazione della Natività del Signore – quindi della sua nascita in quanto vero Uomo – al fine di sottolinearne al tempo stesso la divinità e la regalità, attraverso un processo che, con l’obliterazione d’una precedente consuetudine cultuale lasciata intatta nella forma esteriore – la fissazione calendariale – ma mutata nella sostanza, permetteva alla nuova ricorrenza di rafforzarsi attraverso il richiamo a quanto l’aveva preceduta. Durante il solstizio invernale – momento culminante delle cosiddette Libertates Decembris (gli antichi Saturnalia), con il loro rituale di rovesciamento delle gerarchie, quindi di rinnovamento dell’ordine attraverso una celebrazione simbolica del caos originario – si usava commemorare solennemente una festa avvertita come imperiale per eccellenza, il Dies Natalis Solis Comitis Invicti, su cui torneremo più avanti. La settimana festiva solstiziale si apriva il 18, aveva il suo giorno centrale nel 21 (il solstizio, appunto) e si chiudeva il 24: il giorno dopo si celebrava solennemente l’ingresso dell’astro diurno nella corsa del nuovo anno.
La festa solstiziale era posta pertanto sotto il patrocinio del Sole, quindi del dio Helios-Apollo, che era invocato anche quale patrono del giorno della “nascita” (cioè della fondazione) di Roma, il 21 aprile, come ricorda il Carmen Saeculare di Orazio. Dal momento che nel calendario cristiano s’intersecavano una tradizione solare imperniata sulla Nativitas Domini come Dies Natalis Solis Iustitiae (e l’epiteto del Cristo quale Sol Iustitiae sarebbe restato appunto come segno della sua regalità), e una tradizione lunare d’origine ebraica imperniata ovviamente sulla Pasqua, plenilunio del mese primaverile di Nisan, si stabilirono due ordini di solennità rispettivamente dipendenti da ciascuna di esse. Mentre dalla Pasqua dipendevano evidentemente le solennità dell’Ascensione e della Pentecoste, partendo dal Natale, con il calcolo dei nove mesi necessari alla perfetta gestazione di un essere umano, si stabilì al 25 marzo la celebrazione dell’annuncio dell’angelo alla Vergine Maria di Nazareth e, insieme, del concepimento verginale del Figlio e Salvatore. In conseguenza, sei mesi prima della nascita del Signore si pose altresì la memoria della nascita del suo precursore, profeta e battezzatore Giovanni, da allora patrono del solstizio d’estate e della metà dell’anno caratterizzata dall’elemento dell’acqua (che è difatti il tramite materiale del battesimo), così come i sei mesi tra inverno e primavera, durante i quali il calore e il vigore del Sole crescono, sono posti sotto il segno del fuoco, simbolo dello Spirito.