Così il romanico plasmò il Veneto
Tra le gemme lagunari (Caorle, Torcello, Venezia) e i tesori meno noti, da Feltre a Concordia Sagittaria
Dal finestrino di un treno ormai prossimo alla stazione di Venezia Santa Lucia, lontano, verso oriente, sulla foschia leggera della laguna, si staglia il campanile della basilica di Santa Maria Assunta, l’antica cattedrale di Torcello. Un dito al cielo sull’estremo lembo delle acque. Il segno per il viaggiatore che voglia conoscere le meraviglie del romanico nella Venezia Prima. Dove il silenzio dell’isola abbandonata dalla popolazione secoli fa, sulle piatte barene di sabbie e acque, esalta la monumentalità degli edifici. La grande torre quadrata intravista annuncia la cattedrale sorta nel VII secolo, quando la vita ferveva. Maestri d’ascia costruivano battelli, donne tessevano, uomini lavoravano il sale. Erano fuggiaschi dalla terraferma invasa. Veneti romani, fedeli a Bisanzio e alla Chiesa di Roma. Avevano lasciato Altinum, Opitergium, aggredite e distrutte, creando Heraclia, Civitas Nova, Equilium, spingendosi fino a Torcello.
In questo angolo remoto della laguna orientale, nell’essenzialità dell’ambiente, sorgono la basilica e la chiesa di Santa Fosca. Torcello fu sede vescovile per più di mille anni, a partire dal 638. Di quel VII secolo è la fondazione dell’edificio dalle dimensioni imponenti, che conoscerà modificazioni nell’XI-XII secolo. L’interno risplenderà di mosaici vivi, a onorare l’Agnello mistico in un trionfo di arcangeli e angeli. Nel retrofacciata l’Apoteosi di Cristo e il Giudizio universale, tra beatitudini paradisiache e castighi infernali
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di Ulderico Bernardi