Rose e rovine: il giardino di Ninfa
Compie cento anni il sogno realizzato di Lelia Caetani, un parco all’inglese e un luogo dello spirito tra i resti di una perduta cittadina medievale
Costanza Lunardi
L’immagine del giardino è legata alla parola cura. Un luogo solitamente legato all’idea del bello, in cui il giardiniere, figura preposta alla sua costante manutenzione, assume il ruolo di solitario e dedito sacerdote.
Il botanico e filosofo francese Gilles Clément ha affidato al giardiniere un compito molto più attuale e innovativo rispetto a quello tradizionale, attraverso la sua teoria del “Giardino planetario”, un progetto politico di ecologia umanistica nato dall’intuizione che tutto il pianeta è come un unico grande giardino, un grande hortus conclusus, e l’umanità il suo giardiniere. Il giardino rimanda al pianeta: «Il giardino di oggi non riesce a contenersi entro il tradizionale recinto, anzi, costringe tutto il vicinato alla condivisione». Nel giardino di Ninfa, a Cisterna di Latina, nella campagna laziale, frutto dell’acqua e della storia, il giardiniere, attraverso le varie figure che si sono avvicendate nel tempo e l’hanno preso in cura ascoltando l’eco profonda del suo substrato storico e della sua origine naturalistica e paesaggistica, ha restituito alla vita e alla bellezza un luogo di rovine
Nel mito poggiano le radici del giardino di Ninfa e nell’acqua che lo attraversa come una linfa vitale e dispensatrice. Il secolare silenzio dei ruderi non è quello di un parco archeologico risvegliato dal disseppellimento, ma il miracoloso incontro tra energie naturali e il sogno di un ideale di bellezza. Il lago di Ninfa è una calma superficie, come un respiro di pianura, addossato alla torre del castello, che nella tarda primavera accoglie e si ricopre dei bianchi pappi caduti dalla fioritura dei pioppi, a volte mescolati con il volteggiare danzante dei petali delle rose. Il mito sotteso a questo luogo aleggia e racconta che la giovane figlia del re, Ninfa, a causa dell’amore contrastato per Martino si fosse gettata dalla torre del castello nel lago. Resiste anche la leggenda del lamento femminile che ogni sera all’ora del tramonto da una caverna in fondo al lago si propagherebbe dintorno, a perenne memento della forza dell’amore. Resiste a partire dalla testimonianza, nel I secolo, di Plinio il Vecchio, al quale questo luogo ricchissimo di acque apparve come un sito mitologico di culto abitato dalle ninfe.
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Cornovaglia: l’Eden abita qui
Tim Smit racconta il suo Eden Project, un grande parco ambientale che ricostruisce ecosistemi, educa e crea sviluppo sostenibile
Silvia Guzzetti
Enormi e impressionanti, catturano subito l’immaginazione dei visitatori. Due enormi bolle di acciaio e plastica spuntano di colpo dal cratere di una ex cava di caolino. Una struttura, la più grande del mondo, fatta di tubi che formano 625 esagoni, 16 pentagoni e 190 triangoli riempiti da cuscini a tre strati di tetrafluoroetilene, materiale leggerissimo e riciclabile. Per collocarli lì, in quel “buco” in Cornovaglia, nel mezzo del nulla, c’è voluta un’enorme opera di ingegneria. Tonnellate di materiale sono state rimosse dalle pareti della cava e buttate nel fondo per alzarne il livello oltre la falda acquifera. Dentro le due biosfere vi sono un milione di piante e cinquemila specie, provenienti da ogni parte del mondo. Piante rare ed esemplari unici che riproducono due ecosistemi, quello della foresta tropicale e quello del Mediterraneo. Oltre un milione di visitatori li ammirano ogni anno, tra cui 600mila studenti, scoprendo i segreti della natura e imparando quanto ne siamo dipendenti. “Istruzione fatta da visionari”, l’ha definita il “Times”.
L’“Eden Project”, ong a scopo educativo per insegnare il rispetto per l’ambiente, nasce dalla visione di sir Tim Smit, che ha così realizzato la serra più grande del mondo. Una laurea in archeologia, una fortuna fatta nell’industria della musica, Smit è andato in pensione ricchissimo e appena trentenne in Cornovaglia, dove ha cominciato una nuova carriera di “impresario della natura”. Il suo restauro del parco di Heligan (Lost Gardens of Heligan), magnifici giardini abbandonati dopo la Prima guerra mondiale, è diventato il progetto di recupero più importante di un’area verde di tutta l’Europa, aprendogli anche la strada verso l’Eden Project. Per il suo lavoro a servizio della natura Tim Smit è stato fatto baronetto dalla regina Elisabetta II nel 2012.
Perché ha deciso di costruire questi due biomi come parte chiave del Progetto Eden?
Ne volevo uno che rappresentasse l’esotico, il tropicale e il selvaggio con la foresta amazzonica di Brasile, Malesia e Camerun e l’Asia sudorientale. E uno che ospitasse il clima mediterraneo con le piante europee ma anche quelle di Sud Africa, Cile, California e Australia meridionale. Solo due, perché non siamo un giardino botanico che mette in mostra piante diverse, ma un progetto educativo. Volevo immergere il visitatore in un certo tipo di clima, non fargli vedere una collezione.
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