Camminare nell’Infinito
Il racconto della scoperta della vocazione monastica, esperienza di trasformazione dello spazio e del tempo
Mauro-Giuseppe Lepori
Quando passai i primi giorni nella foresteria del monastero in cui sarei entrato - l’abbazia cistercense di Hauterive in Svizzera -, giorni decisivi in cui la vocazione monastica mi venne a travolgere con dolce veemenza, annotai un’esperienza che facevo nel silenzio:
Anche alle rondini basta
lo spazio infinito del chiostro.
Sei soltanto respiro
e rumore di passi.
Accusavo l’impatto con una dimensione diversa del tempo e dello spazio, come se stessi scoprendo che dentro lo scorrere cronologico della mia vita, e le circostanze fisiche in cui mi trovavo, scorresse qualcosa di eterno e di infinito. Mi accorgevo però che solo scandendo quelle ore e quei giorni e percorrendo a passi lenti i luoghi e le dimore di quel monastero mi era dato di lasciar liberamente scorrere in me quell’acqua viva di eternità infinita.
Quegli spazi esteriori mi abitavano dentro e il tempo di quella casa, di quella comunità, lo sentivo battere nel mio cuore.
Intuivo che tutto mi concerneva nell’intimo e mi rendeva soggetto e protagonista del dono di un Altro, di un Altro che era in persona l’Eterno e l’Infinito che sentivo scorrere in quel luogo, in quel tempo e in me.
Tutto questo mi interrogava, e questa domanda era una chiamata, una vocazione. Non mi domandava qualcosa: domandava me. Così che poi mi accorsi subito che lo spazio e il tempo che vivevo abitualmente, abitudinariamente, lo spazio e il tempo di un normale studente, spesso poco ordinati e raccolti, di colpo venivano essi stessi interrogati da questa domanda che mi chiamava. L’Eterno e l’Infinito mi dicevano: «Mi vuoi seguire?», e questo cambiava il volto della terra che calpestavo e la cadenza dei miei passi.
Capii solo più tardi, vivendo in monastero, che basta questa chiamata a trasformare lo spazio e il tempo, perché è come se uno stesse camminando sulla strada che percorre tutti i giorni - lungo la quale procede sempre automaticamente, come un automa programmato per quel percorso, che va e viene senza mai andare oltre - e di colpo si accorgesse che questa strada cambia di natura, di destinazione. Uno neppure ci pensa al ritmo del suo andare, e di colpo lo coglie come una fretta, un’ansia di sintonizzare il tempo del suo andare coi passi dell’Eterno che si trova a seguire. Una Presenza si fa compagna proprio di questo cammino, di questo tempo e di questo spazio, e lo trasforma in un tempo e uno spazio Suo. La sequela di Cristo cambia tutte le dimensioni della vita. Lo spazio è lo stesso, il tempo è lo stesso, eppure tutto diventa dimensione di una vita vissuta diversamente. Prima uno percorreva una strada, la sua strada; ora quella stessa strada diventa passaggio dell’Eterno nel tempo, dell’Infinito nello spazio finito. È una trasformazione pasquale che libera il cammino di un popolo schiavo per introdurlo in un deserto nel quale la definizione dello spazio e del tempo non è più ciò che ti circoscrive, ciò che ti chiude, ma il centro di una Presenza che dimora e cammina con noi.
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