Brunelleschi e il cielo sotto la cupola
A Firenze nella Sagrestia Vecchia di San Lorenzo una notte stellata ci riporta indietro nella storia
Timothy Verdon
Molti visitatori moderni alla Sagrestia Vecchia della basilica di San Lorenzo a Firenze sono forse sorpresi di trovarvi un grande affresco astrologico: in quello che gli antichi chiamavano un “cielo” architettonico, e precisamente nell’intradosso della cupoletta del vano dell’altare, ecco un panorama notturno della volta celeste con le costellazioni identificate per nome e configurate in ciò che è chiaramente uno schema significativo. Sono sorpresi, perché oggi si ritiene superstiziosa la ricerca di significati nelle stelle: nel primo interno concepito da Filippo Brunelleschi vedono solo ordine razionale e uno stile “all’antica” radicato nella storia.
Il pittore è Giuliano d’Arrigo detto Pesello (1367-1446: nonno del pittore Pesellino), uno dei partecipanti al concorso per la grande cupola del Duomo vinto dal Brunelleschi nel 1420. L’affresco, verosimilmente basato sui calcoli del matematico e astronomo Paolo del Pozzo Toscanelli, amico del Brunelleschi, rappresenta la situazione cosmologica in una data precisa, che alcuni hanno identificato con il 4 luglio 1442, altri con il 6 luglio 1339. La prima data è vicina a quella dell’arrivo a Firenze di Renato di Angiò, il re di Napoli scacciato dall’invasore Alfonso d’Aragona. Renato aveva anche il titolo di “Re di Gerusalemme”, e sebbene lo scopo del suo viaggio per l’Italia nel 1442 fosse limitato a trovare alleati per riconquistare il regno di Napoli, era anche visto come possibile capo di una crociata per liberare la Terra Santa, già prima della caduta di Costantinopoli in mano turca.
La seconda data che l’affresco del Pesello forse rappresenta – e in questo caso non da vicino ma esattamente –, il 6 luglio 1439, corrisponde al giorno in cui, sotto la cupola brunelleschiana del Duomo, era stata firmata la Bolla di Eugenio IV Laetentur coeli, a conclusione del Concilio ecumenico detto “di Firenze”, con cui si sperava di por fine alla separazione tra le Chiese d’Oriente e quella Latina. Cosimo de’ Medici, detto “il Vecchio”, committente della Sagrestia Vecchia, era stato tra i principali artefici del trasferimento del Concilio da Ferrara, dove imperversava la peste, a Firenze, e aveva ospitato in casa sua il più importante esponente orientale, l’imperatore di Bisanzio Giovanni VIII Paleologo, il cui ritratto verrà incluso negli affreschi eseguiti vent’anni più tardi nella cappella del Palazzo Medici per mano di Benozzo Gozzoli. Tra le speranze riposte dai Latini nell’unione tra i cristiani d’Oriente e d’Occidente, c’era anche quella di poter insieme riprendere i sacri luoghi gerosolimitani, tra cui il Santo Sepolcro.
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