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Brasile, passaggio a Nordest

Tra bianche dune metafisiche, frammenti d’Africa e d’Europa, diseguaglianze e semi di futuro, a partire dall’università voluta da Giovanni Paolo II

Un gruppo di pescatori a São Luís.

Un gruppo di pescatori a São Luís.

​I “lenzuoli” del Sertão li scoprì un aviatore alla metà del secolo scorso quando, sporgendosi dal finestrino del suo Piper, rimase letteralmente a bocca aperta. Seguendo la costa atlantica del Brasile settentrionale, si era accorto che stava volando sopra millecinquecento chilometri quadrati di dune bianche e lagune color smeraldo. Capolavori della natura che gli ricordarono le lenzuola bianche di un giaciglio, e così furono chiamate da allora: i “Lençois Maranhenses”, oggi parco nazionale fra i più visitati, in particolare da luglio a ottobre quando le piogge riempiono i laghetti, e le pousadas (alberghi) lungo il Rio Preguiças (“pigrizia”) sono al completo.
I Lençois sono il fiore all’occhiello di un itinerario che – da ovest verso est – tocca gli stati di Maranhão, di Piauí e di Ceará, fino alla moderna Fortaleza. Seicento chilometri di spiagge tra le più selvagge di tutto il Brasile, nella cosiddetta regione del Sertão, fra chiesette color pastello, villaggi di pescatori e cacciatori di caranguejos, i granchi venduti nei ristoranti della città più francese – e più reggae – del Brasile: São Luís. In origine – parliamo del 1612 – venne battezzata come Saint Louis in onore di Luigi XIII dal capitano Daniel de La Touche, che in testa aveva un’idea fissa: fondare la France Équinoxiale, l’impero francese nelle terre equatoriali del Nuovo Continente. Ma solo tre anni dopo Saint Louis si ritrovò conquistata dai portoghesi e trasformata in São Luís, con i francesi costretti a fuggire più a nord, nella Guyana, dove sono rimasti fino a oggi.
Di francese a São Luís rimane poco, se si esclude un busto di de La Touche, qualche architettura in stile Versailles e un po’ di cognomi transalpini nell’elenco telefonico. L’aria che si respira è ormai più lusitana, fra azulejos e ripidi becos, le viuzze che ricordano Lisbona in un miscuglio urbanistico coloniale e un po’ decadente (ma patrimonio Unesco)......
 
di Alessandro Gandolfi