Belle e buone. Le cene d’artista dei vangeli
Da Cana a Emmaus, da Giotto a Caravaggio, così la storia dell’arte ha raffigurato i pasti di Gesù
«Cene ce n’è» dice un verso di Giancarlo Maiorino. Alludeva, crediamo, alle distrazioni, ai momenti ufficiali, alle cene eleganti che, per quelli che contano, non mancano mai. Sono altre le cose che mancano e che sarebbero più necessarie. Ma anche nella storia della pittura di cene ce n’è. E, poiché la Chiesa è stata nei secoli passati la maggior committente di opere d’arte e di straordinari capolavori, sono tante le cene o comunque i convivi evangelici – necessari in tutti i sensi – che conosciamo, da Cana alla cena in casa di Levi, dal Cenacolo a Emmaus.
Muoviamo dalle Nozze di Cana, 1303-1305, di Giotto, parte del ciclo della Cappella degli Scrovegni a Padova. Muoviamo da Giotto non solo perché la sua è l’opera più antica tra quelle di cui parleremo, ma anche perché è il padre della pittura italiana, come Dante lo è stato della lingua. Cennini diceva che ha tradotto la pittura dal greco in latino, cioè è passato dallo spiritualismo dei Bizantini al concreto realismo dei Romani. È una frase pericolosa, perché si può intendere in senso evoluzionistico come se i Bizantini non fossero anche loro grandi maestri; ma in effetti pochi artisti hanno dimostrato, come Giotto, che il mondo non è fatto di nebbia, come invece diceva Renan. Forse ci voleva un artista che fosse figlio di contadini del Mugello come era Giotto, per farci capire la tremenda concretezza della realtà e della vita. Lo si vede anche nelle Nozze di Cana, con quelle giare in primo piano così colossali e quelle figure, come la sposa vestita di rosso e i vivandieri, che sembrano pesare parecchio ma conservano sempre una assoluta nobiltà.
Le giare, però, non sono solo un emblema di volumetria. Secondo alcuni studiosi Giotto in quel periodo era in contatto non solo col discusso Pietro d’Abano, ma soprattutto con Alberto da Padova, che era quasi suo coetaneo e oggi è considerato l’ispiratore dell’intero ciclo degli Scrovegni. Predicatore, lector presso gli Eremitani di Padova, docente alla Sorbona, Alberto da Padova era uno dei teologi più famosi del suo tempo. Era un agostiniano e sapeva bene che sant’Agostino divide la storia in sei grandi momenti: da Adamo a Noè, da Noè ad Abramo, da Abramo a Davide, da Davide alla deportazione degli Ebrei, da questa alla nascita di Cristo, dal Natale al Giudizio Universale. Queste grandi ere corrispondono alle sei fasi della vita dell’uomo. Quando dunque Giotto dà tanta evidenza alle sei giare in primo piano, non lo fa per distrarre l’attenzione da ciò che è più importante. E nemmeno per dare a Morandi, che nascerà quasi sei secoli dopo, qualche motivo di riflessione. Lo fa per suggerire che in quel banchetto è presente misteriosamente tutta la storia dell’uomo, che anch’essa deve essere trasformata, anzi salvata, dall’azione redentrice di Cristo.
di Elena Pontiggia