Beati noi, poveri uomini
Nelle Beatitudini c'è il cuore del Vangelo: la felicità
Ermes Ronchi
Primo giorno di scuola del maestro Gesù, all’aperto, sulla collina, il cielo come soffitto, l’erba per pavimento, l’abside del lago sullo sfondo. E il primo argomento che il giovane rabbi di Nazaret tratta nella sua prima lezione, è il tema della felicità: beati voi, ripete per otto volte. La prima rivelazione: Dio vuole figli felici. La vita è e non può che essere una ricerca di felicità. La felicità sempre provvisoria dei viandanti.
E invece di un discorso alla Robin Williams, nel film L’attimo fuggente, uno di quei discorsi accattivanti e piacioni, fa una lezione drammatica e impopolare.
Parla di poveri, di perseguitati, di piangenti, di affamati. Sceglie le ferite delle persone: le Beatitudini sono ferite che diventano feritoie, in cui si affaccia una terra nuova e felice.
La genialità di Gesù: non imposta il suo progetto su di una morale umana, ma su di una lieta notizia: Dio regala gioia a chi produce amore, aggiunge vita a chi edifica pace.
Le Beatitudini non raccolgono precetti o divieti, di cui rendere conto, ma sono la bella notizia che chi somiglia a Gesù, affamato di giustizia e di pace, cuore limpido e mite, vive meglio, umanizza il mondo, apre brecce nel muro della storia per sbirciare dentro il Regno, in una umanità nuova e migliore. Una differenza sostanziale rispetto alla torah, alle dieci parole è il fatto di passare dall’ubbidire a degli ordini all’ubbidire solo alla felicità.
La beatitudine posta in apertura al primo discorso di Gesù è la chiave di volta, la condizione perché esistano tutte le altre: beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli (Mt 5,3).
Così in Matteo, così in Luca 6,20, così anche nel vangelo apocrifo di Tommaso e prima ancora nel Magnificat (Luca 1,48), questa profezia che, nella danza dei grembi delle prime profetesse del Nuovo Testamento, Maria ed Elisabetta, anticipa le Beatitudini del monte. Da sua madre Gesù ha imparato che Dio fa storia non con i potenti e i ricchi, ma con i poveri e i piccoli. Non con l’arroganza del potere, ma in alto silenzio e con piccole cose.
Sono proclamati beati i poveri e non la povertà. La parola “povero” contiene ogni uomo. Povero sono io, mendicante di vita, quando non basto a me stesso, da solo non ce la faccio e vivo di ospitalità cosmica. Beati i poveri perché sono come passeri che hanno il nido nelle mani di Dio, quotidianamente dipendenti dal cielo. Ci saremmo aspettati: beati perché ci sarà un capovolgimento, la ricchezza passerà in mano vostra. Beati perché sarete i ricchi di domani. No. Il progetto di Dio è più profondo e più delicato.
Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno, è con voi che Dio cambierà la storia, non con i potenti. Il Signore vuole vedere il mondo con gli occhi dei piccoli e dei poveri. Solo se proviamo anche noi a vedere il mondo così, con lo sguardo dei deboli e degli ultimi, solo allora potrà cambiare questa nostra storia.
L’economia della piccolezza attraversa l’intera Bibbia e ne rappresenta un’anima profondissima. Quella di Abele, delle donne sterili e madri, di Giuseppe venduto, di Amos e Geremia, di Betlemme, delle Beatitudini, del Golgota. Dio si rivela a Elia come una sottile voce di silenzio, solo una voce, non si vede e non si tocca; si sceglie come alleato il più piccolo tra i popoli, diventa bambino e poi lascia suo figlio e i nostri figli appesi a una croce.
Prendere sul serio l’economia della piccolezza e della povertà ci porta a guardare il mondo in altro modo, e anche le nostre ferite. A cercare i re di domani tra gli scartati e tra i poveri di oggi, a prendere molto sul serio i giovani e i bambini, a trovare meriti là dove l’economia della grandezza sa vedere solo demeriti.
La prima beatitudine riemerge come prima motivazione nel discorso inaugurale di Gesù nella sinagoga di Nazaret (Luca 4,18): sono venuto a portare una lieta notizia ai poveri. Adamo è prigioniero, cieco, oppresso, povero, prima che malvagio. La ragione dell’incarnazione del Figlio di Dio sono i poveri più che i peccatori; è gioia e libertà constatare che nel Vangelo ricorrono più spesso i termini legati alla vita povera, debole e sofferente che non al campo semantico della vita colpevole o del peccato. Gesù parla più di poveri che di peccatori. Il Vangelo non è moralista. Siamo noi che abbiamo messo come chiave di volta del rapporto religioso il peccato e i peccatori, abbiamo moralizzato il Vangelo, ma questo moralismo non appartiene a Gesù, per lui chiave di volta sono i poveri. «Il primo sguardo di Gesù nel Vangelo non si posa mai sul peccato dell’uomo, mai, ma sempre sul suo dolore o sul suo bisogno» (Johann Baptist Metz).
Beati i poveri in spirito, specifica Matteo: davanti a Dio per l’anima non c’è nulla di meglio che essere nulla, pura trasparenza, come l’aria davanti al sole (Simone Weil).
La preoccupazione dell’annunciatore è di essere infinitamente piccolo, solo così l’annuncio sarà infinitamente grande (Giovanni Vannucci).
Le prime parole di Gesù dicono a tutti i disincantati di allora, a tutti i delusi di oggi: smettetela di essere tristi e sfiduciati, ascoltate, qualcuno ha una cosa bellissima da dirvi, così bella che appare incredibile...La notizia bellissima è questa: Dio è per i poveri, contro la povertà; è all’opera, qui tra le colline e il lago, per le strade di Cafarnao, in cammino su questi sentieri. Per umanizzare la vita e farla respirare. C’è polline divino nel mondo. Il Regno viene, è vicino, è qui, viene e fa fiorire la vita in tutte le sue forme.
Beato, che ricorre più di cento volte nelle Scritture, ha un significato più vasto dell’immediata accezione di “felice, lieto, contento”.
Possiamo intuirlo aprendo il libro dei salmi, il libro della nostra vita verticale, imbattendoci nel termine da subito, dalla prima parola del primo salmo: «beato l’uomo che non percorre la via dei malvagi». Il salmo collega beatitudine e cammino come nella illuminante ermeneutica di André Chouraqui: “beato” significa «in cammino, in piedi, in marcia, avanti, voi che non seguite la strada dei malvagi, non arrendetevi, non lasciate cadere le braccia». In cammino voi poveri; in piedi voi miti; avanti, in marcia, fate il primo passo, in piedi voi che siete a terra, rialzatevi, ricominciate. Dio cammina con voi. «La Provvidenza conosce solo uomini in cammino» (san Giovanni Calabria).