Argentina, mondo capovolto
Se Buenos Aires è città dove ogni orizzonte è possibile, la nazione è un sogno inafferrabile in cui un ballo diventa visione e una bevanda una filosofia di vita
grande pianura nelle solitudini di Casabindo, all’estremo nord del Paese. Questa terra è la Puna, gli altopiani di alta quota delle Ande meridionali.
Gli scrittori passeggiano, guardano, entrano nei bar e descrivono città diverse, diversissime. Come se non vivessero nelle stesse strade. Borges ha nostalgia dei quartieri di Palermo, Villa Ortúzar, Almagro e Saavedra. Quartieri dai cortili con le pergole d’uva, periferia scomparsa se non sai dove cercarla. Borges non vede i grattacieli, i viali interminabili, il traffico feroce, le villas miseria, le bidonville delle periferie. Julio Cortázar, ostico e meraviglioso scrittore, non ha mai dimenticato Buenos Aires, ma, per lui, è una città ambigua, misteriosa, a volte ostile, una città notturna e scura dall’odore di «borotalco bagnato sulla pelle» e «frutta marcia».
Ernesto Sábato, il più grande fra gli scrittori, intreccia orizzonti fino a confonderli. Una città può essere la linea impercettibile fra cielo e mare? C’è il mare a Buenos Aires? A volte, alla Boca, a esempio, ho creduto di sì. Certamente ci stanno le onde. Ma Sábato ingarbuglia la matassa della città. Nelle sue pagine, Buenos Aires è tumultuosa e accecante. Io ritrovo un appunto (spero che sia mio, che non l’abbia copiato) su di un vecchio taccuino; Buenos Aires, primo passo in Argentina, mi apparve bellissima e minacciosa (le città inconciliabili) e allora scrissi: «Che fortuna crescere qui dove la malinconia è una virtù e l’incertezza una compagna indelebile».
di Andrea Semplici