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Anselmo e Ildegarda pensieri di luce

L’arcivescovo di Canterbury e la badessa di Bingen tra visione e intelletto. E laddove la ragione non arriva, provvede il cuore

​Alessandro Ghisalberti

L’interesse per il pensiero di sant’Anselmo d’Aosta (1033-1109) si è molto espanso nell’arco degli ultimi decenni, e si è distribuito su tutta la sua produzione letteraria così da fare risaltare la sua figura come quella di un maestro che ha affrontato la problematica filosofico-teologica nella sua articolazione profonda e complessa: un’autentica “luce” che si levò in pieno secolo XI, un pioniere della rinascita che contrassegna il primo secolo del secondo millennio. Anselmo si è dedicato con particolare impegno a cercare di rendere il più possibile comprensibili all’intelletto umano le verità di fede del cristianesimo: il suo metodo di indagine riguarda, infatti, la “fede alla ricerca dell’intelligenza”, per usare una sua celebre espressione.
Le aree in cui Anselmo è coinvolto in queste sue ricerche sono molteplici, toccando molti punti della dottrina cristiana. Ad esempio: l’esistenza di Dio è una verità di fede, ma è possibile darne una spiegazione che sia anche comprensibile dalla ragione? E ancora: l’incarnazione di Cristo è una verità di fede, ma è possibile darne ragione con motivazioni per noi comprensibili? Secondo Anselmo è possibile, e dunque, in questo senso, egli ha davvero voluto illuminare alcuni aspetti della dottrina per renderli accessibili al nostro intelletto. Una costruzione originale che Anselmo ha lanciato riguarda proprio un’innovativa prova per dimostrare l’esistenza di Dio, da lui chiamata col nome di “unico argomento” (unum argumentum) e contenuta nei primi capitoli dell’opera intitolata Colloquio (Proslogion, composta nel 1077). Tale prova è stata talmente significativa per la storia del pensiero, soprattutto filosofico, che ha dato origine a un ampio e fruttuoso dibattito nei secoli successivi, fino ai giorni nostri. Nei manuali odierni essa viene solitamente qualificata come “argomento ontologico”, anche se in realtà le sue declinazioni nel corso della storia sono state molteplici: tale prova è stata, infatti, fin da subito ripresa da molti autori, ciascuno dei quali ha voluto proporne una propria riformulazione particolare, con coloriture e sfumature diverse rispetto a quella anselmiana (si pensi, ad esempio, a Duns Scoto o a san Bonaventura).
La peculiare formulazione dell’argomento anselmiano ha fatto sì che ricevesse attenzione e confronto critico anche da parte dei principali pensatori della filosofia moderna (tra cui Cartesio, Leib­niz, Kant), mentre nella seconda metà del Novecento ha ottenuto valutazioni impegnate sia sul piano della logica, da parte dei pensatori cosiddetti analitici (come Gödel e, ancor più di recente, Plantinga), sia a livello epistemologico e dialettico, da parte dei filosofi sostenitori dell’ontologia metafisica.
Prima di esporre alcuni passaggi significativi del celebre argomento è utile richiamare l’inserimento del tema della luce che Anselmo fa nei capitoli iniziali del Colloquio. Egli invoca Dio perché insegni al suo cuore come lo possa cercare, e aggiunge: «Ma tu abiti certamente una “luce inaccessibile”. E dov’è la luce inaccessibile? In quale modo mi accosterò alla luce inaccessibile? E chi mi condurrà e mi introdurrà in essa, affinché io veda te in essa?». Erano già state ideate in precedenza delle prove dell’esistenza di Dio, ma Anselmo non è del tutto soddisfatto da esse: egli sta cercando un argomento nuovo, unico, più immediato, capace di confutare direttamente e una volta per tutte chiunque voglia negare l’esistenza di Dio. Dopo notti insonni alla ricerca di tale argomento, che aprisse uno spiraglio per sfondare l’inaccessibilità della luce e per trovare «quell’argomento unico che per la propria dimostrazione non necessita di altro che di sé solo e che, da solo, è sufficiente a provare che Dio è realmente e che è sia il bene sommo che non manca di alcun altro bene, sia ciò di cui tutte le cose abbisognano per essere e per essere buone, sia tutte quelle altre cose che crediamo a proposito della divina sostanza», inaspettatamente, una notte, nel «conflitto dei pensieri», la mente di Anselmo venne illuminata da una formula esprimente una precisa nozione di Dio come «ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore» (id quo maius cogitari nequit).
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