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Andar per chiese all’Avana

L’isola che cambia: viaggio nella capitale cubana tra monumenti barocchi e una religiosità in emersione

C’è un tempietto dorico che nessuno nota, all’Avana. È sul Malecón, a due passi da Plaza de Armas. Nel piccolo cortile l’ombra è garantita da un albero di ceiba, già sacro alle popolazioni precolombiane. Ma entrando nell’edificio alcuni quadri attirano l’attenzione: sono grandi, un po’ sbiaditi dal tempo, dipinti dal francese Jean Baptiste Vermay: «L’Avana fu fondata esattamente in questo luogo – esordisce una guida – e la ceiba che vedete riprodotta nei quadri è la stessa del cortile qui fuori». In uno dei tre oli un parroco celebra la prima messa della città, con i fedeli inginocchiati sotto l’albero che – a dispetto di ciò che sostiene la guida – non è più quello originale. Non importa: i cittadini lo considerano miracoloso e ogni 16 di novembre, in occasione di una festa, in segno di buon auspicio si gettano monete fra le sue radici. Credenze che affondano in quell’amalgama religioso che a Cuba vede il cattolicesimo contaminato da forme di animismo proprie degli schiavi africani: una convivenza che ha generato culti sincretici unici come la Santerìa, il Palo Monte o la Regla de Arará.
Allievo del celebre Jacques-Louis David a Parigi, il pittore Jean Baptiste Vermay giungeva a Cuba nel 1816: aveva trent’anni e portava con sé uno stile neoclassico perfetto per celebrare la nuova borghesia dell’Avana. Sono gli anni della “zuccherocrazia”: le piantagioni di canna generano ricchezza, l’isola si riempie di schiavi di colore, nascono le prime ferrovie e i villaggi si trasformano in città sontuose. I dipinti di Vermay iniziano a decorare le chiese e pure la cattedrale, dove il francese nel 1826 rischiò seriamente di morire: mentre stava affrescando la cupola, scivolò dalle impalcature e rovinò a terra riportando fratture in tutto il corpo. Non morì, se non sette anni dopo e in seguito a un’epidemia di colera. I suoi ritratti si possono ancora ammirare alle pareti della cattedrale dell’Avana, vero capolavoro barocco della città, realizzata dai gesuiti prima che questi, nel 1767, venissero espulsi dall’isola. Oggi la chiesa, con i suoi due campanili diseguali e la fuga di colonne nella facciata costruita in blocchi di corallo (se osservate bene potrete vedere anche alcuni fossili), è considerata il vero centro della città e punto di partenza di un tour che racconta la storia dell’Avana attraverso i suoi santuari più celebri. Così sotto i portici della piazza i turisti si ritrovano per visitarne l’interno – oggi è austero e spoglio, anche se un tempo si dice conservasse i resti di Cristoforo Colombo – ma soprattutto per dare il via all’itinerario nell’Habana Vieja, quel meraviglioso dedalo di vie e chiese antiche che l’Unesco nel 1982 ha dichiarato patrimonio dell’umanità.

 

di Alessandro Gandolfi