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Albino Luciani, il cammino di una vita

Il battesimo in casa, l’infanzia nell’Agordino, il ministero sacerdotale ed episcopale. E da papa la scelta del doppio nome

​Davide Fiocco

I primi anni della vita di Albino Luciani si collocano a Canale d’Agordo, un piccolo borgo alpino a 976 metri sul livello del mare, a 45 chilometri da Belluno, incastonato alla confluenza di due vallate dolomitiche, contornate da incombenti massicci, che nei mesi invernali tolgono ai tetti delle case i raggi del sole. Allora si chiamava Forno di Canale, perché nei secoli precedenti nella valle si era sviluppata una qualche attività mineraria; tuttavia la parrocchia aveva sempre conservato il più antico nome, quello attuale. Esaurita l’attività estrattiva, l’economia della valle era rimasta esclusivamente agricola, limitata alla coltivazione dei campi, all’allevamento di alcuni capi di bestiame, allo sfruttamento delle risorse boschive. Per questo all’inizio del Novecento a molti non restava altra scelta che l’emigrazione stagionale o definitiva. Anche Giovanni Battista Luciani (1872-1952), padre del futuro papa, aveva assaporato – per dirla con il Poeta – «com’è duro calle / lo scendere e ’l salir per l’altrui scale», mettendosi presto sulla strada dell’emigrazione, fin da quando aveva soltanto undici anni. Impiegato nei cantieri in Germania, si era avvicinato ai sindacati e aveva simpatizzato per i socialisti, che a quel tempo erano tra i pochi a occuparsi delle condizioni degli operai.
Nel 1900 Giovanni sposò in prime nozze la cugina Rosa Angela Fiocco (1877-1906), dalla quale ebbe due femmine, entrambe sorde, e tre maschi, che morirono dopo pochi mesi di vita: li aveva chiamati tutti Albino, per ricordare un amico morto sul lavoro. La sordità delle figlie e la moria dei maschi dipendevano verosimilmente dalla consanguineità dei genitori. Nel 1906 morì anche la moglie Rosa, lasciando un vedovo con due figlie disabili.
Dopo aver peregrinato nei cantieri d’Oltralpe, Giovanni si rese conto che le due figlie chiedevano la presenza di una donna: qualcuno gli suggerì il nome di Bortola Tancon (1879-1948), una trentenne disposta a sposare un vedovo. Poiché Bortola lavorava a Venezia, anche Giovanni trovò lavoro in laguna. Albino, il loro primogenito, ricorderà il 3 settembre 1978: «Il papà aveva lavorato a Murano, nelle vetrerie, e là aveva incontrato la mamma, si erano fidanzati e io son qua perché… è dovuto al caso di Venezia». Bortola e Giovanni si piacquero e si avviarono al matrimonio, che celebrarono nella chiesa del paese il 2 dicembre 1911. Nella nuova famiglia trovarono posto le due figlie del primo letto.
Il 17 ottobre 1912 nacque Albino. Le difficoltà del parto fecero temere ancora per la sua sopravvivenza, tanto che venne battezzato in articulo mortis dalla levatrice Maria Fiocco, sorella della prima moglie del padre. Singolare caso che un futuro papa sia stato battezzato da una donna; quasi il “la” per un cammino di santità segnato dalla discrezione e dall’umiltà fin dal suo incipit. All’inizio del 1918 Albino venne colpito da una forma di polmonite bilaterale e riuscì a sopravvivere grazie a un medico militare, che visitò e curò efficacemente il piccolo paziente. Sopravvisse anche ai rigori degli inverni in montagna e alle privazioni che la Prima guerra mondiale portò nella valle: dopo la ritirata di Caporetto, quei paesi divennero zone di occupazione e conobbero ristrettezze tali che, dall’inverno del 1917 fino a tutto il 1918, schiacciarono la popolazione nel più terribile anno della guerra, proverbialmente ricordato come “l’anno della fame”. Stretta dalla disperazione, Bortola mandò a chiedere l’elemosina la figliastra Pia e il piccolo Albino che, quando diverrà pontefice, dirà: «È stato ricordato dai giornali – anche troppo forse! – che la mia famiglia era povera. Io posso confermare che, durante l’anno dell’invasione, ho patito veramente la fame, e anche dopo; almeno sarò capace di capire i problemi di chi ha fame! Questo posso dirlo». In casa Luciani nacquero poi altri tre figli, uno dei quali morì di polmonite in tenera età.
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