A Manila c’è vita in camposanto
Il North Cemetery della capitale delle Filippine è diventato un popoloso quartiere di famiglie povere
Sergio Ramazzotti / Parallelozero
«Tutti noi viventi» scrisse Marcel Proust «non siamo che dei morti non ancora entrati in funzione». A Manila ne sembrano consapevoli le migliaia di persone che con notevole anticipo (sono tutte vive e vegete, talvolta con neonati al seguito) hanno deciso di trasferirsi al cimitero: non per morire, bensì per continuare a vivere.
Ora, vivere in un cimitero suona come una contraddizione di termini, ma nella capitale delle Filippine, la cui area metropolitana conta oltre dodici milioni di abitanti ed è strangolata da una sovrappopolazione fuori controllo, c’è da fare di necessità virtù. E così lo spazio riservato ai morti viene occupato pure dai vivi: le famiglie senza una casa, o quelle che l’hanno perduta in seguito alla crisi economica, trovano alloggio fra le tombe dello sterminato North Cemetery, il più vasto della città, inaugurato all’inizio del ‘900 e luogo dell’eterno riposo per oltre un milione di sepolture.
È un fenomeno vecchio di almeno settant’anni (stando ai racconti dei residenti più anziani, che ricordano ancora i tempi in cui «si era in molti meno, potevi sceglierti la zona che preferivi e c’era meno chiasso»), anche se nell’ultimo decennio sembra essersi intensificato: si stima che i residenti oscillino tra le seimila e le diecimila persone. Diverse le storie – gli emigrati dalle province approdati nella capitale in cerca di una fortuna che non si è lasciata trovare, gli anziani coniugi impoveriti che sono finiti ad abitare nella tomba degli antenati, i piccoli criminali che vengono a nascondersi –, un’unica conclusione: Manila non è una città per tutti, o comunque per tutti quelli che vorrebbero abitarla.
Al fenomeno globale (l’urbanizzazione selvaggia, che secondo le stime delle Nazioni Unite entro trent’anni porterà sette esseri umani su dieci a vivere in una megalopoli) qui se ne aggiunge uno del tutto endemico: l’impareggiabile indole barocca e un po’ sanguigna del popolo filippino, per cui abitare in un mausoleo è un fatto naturale quanto venire alle mani – è successo migliaia di volte – per il privilegio di cantare My way di Frank Sinatra in una riunione pubblica di karaoke.
Ecco dunque che l’abitante di Manila alla disperata ricerca di un tetto sulla testa, una volta rivelatesi vane tutte le altre opzioni, non si fa remore nel prendere in considerazione il cimitero, cosa che nella società cosiddetta occidentale, quella che secondo Erich Fromm ha costretto «l’individuo a rimuovere il sentimento della morte come uno scandalo», sarebbe semplicemente inconcepibile.
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