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A Firenze il gran teatro di Donatello

Lo scultore rinascimentale raccontato attraverso i capolavori nella sua Firenze e le opere in mostra a Palazzo Strozzi

​Timothy Verdon

A Firenze, città natale dell’artista e principale palcoscenico della sua arte, una mostra fondamentale – Donatello, il Rinascimento – fa riscoprire la grandezza del maestro quattrocentesco e in modo particolare il suo estro drammatico. Allestita nel più imponente dei palazzi fiorentini del XV secolo, quello degli Strozzi, giustappone all’ordine razionale dell’epoca, così evidente nell’architettura, l’esplorazione dei sentimenti e perfino dell’irrazionale nella scultura donatelliana; inaugurata poco prima della Quaresima, inscena la Passio Christi e lo spettacolo della santità con capolavori mai prima esposti insieme e con un itinerario cittadino unico, che include il Bargello, seconda sede ufficiale, il Museo dell’Opera del Duomo, Santa Maria delFiore, Santa Croce e soprattutto la basilica medicea di San Lorenzo. Una serie di prestiti importanti illustrano Donatello a Siena e Padova nonché il suo impatto decisivo su Mantegna, Giovanni Bellini e altri pittori dell’Italia settentrionale.
La capacità dell’artista di tradurre un racconto biblico in puro teatro emerge in opere degli anni 1420-1430 come il rilievo bronzeo per il fonte battesimale di Siena, La festa di Erode, in cui per la prima volta Donatello sfrutta la nuova prospettiva per intensificare l’impatto emotivo della “istoria”: dalle profondità del palazzo, evocate con sovrapposte quinte in forma di arcate, una processione avanza al suono della musica, per esplodere alfine in primo piano, dove Erode siede con i commensali. Mentre davanti al tavolo Salomè ancora danza, il re, a sinistra, reagisce con orrore quando gli viene presentata su un vassoio la testa del Battista, ma, accanto a lui, Erodiade lo rimprovera con un gesto imperioso, come per dire: «Comportati da re, accetta la ragion di stato». Un’analoga attenzione alla gestualità e all’espressione facciale traspare nella scultura realizzata in collaborazione con Nanni di Bartolo nello stesso periodo, Il sacrificio d’Isacco. Abramo è raffiguraro nel momento in cui l’angelo gli dice di non uccidere suo figlio: il patriarca guarda verso l’alto con sollievo indicibile, mentre le sue mani catturano l’istante, con la sinistra ancora tesa nei cappelli del ragazzo, per scoprirgli la nuca, e la destra che si rilassa e il coltello scivola via.
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