300 volte infinito
Dare voce e immagine alla Bellezza
Giovanni Gazzaneo
La storia di “Luoghi dell’Infinito” è più lunga dei 300 numeri a cui siamo giunti. Nasce nel 1988 quando la Compagnia di San Paolo del Cardinal Ferrari mi chiede di ideare una rivista di turismo religioso e culturale, la prima nel suo genere. Allora ero un giovane laureato in Filosofia alla Cattolica di Milano. Grazie alle lezioni di Sofia Vanni Rovighi, di Bausola, Ghisalberti, Lenoci, Melchiorre, Reale… e agli incontri con Giuseppe Lazzati e Gustavo Bontadini ho imparato a custodire e declinare le domande radicali di vero, di bene e di bello che ci costituiscono nel profondo e che mi hanno sempre guidato nella vita e nel lavoro.
Con la professoressa Maria Luisa Gatti Perer abbiamo ideato il nome della testata “Luoghi dell’Infinito” e questo crocevia di spazio, tempo ed eterno sarà l’orizzonte in cui la rivista ha sempre cercato di muoversi. Quella prima esperienza è durata quattro anni. Poi “Luoghi” rinasce nel 1997. Allora ero vicecapo degli Interni di “Avvenire” e il direttore Dino Boffo, su richiesta della Conferenza Episcopale Italiana, mi chiede un progetto per una rivista che doveva accompagnare i lettori fino al grande Giubileo del Duemila. La rivista, come vediamo, è andata oltre quello spazio temporale. Insieme a coloro che vi hanno collaborato abbiamo cercato di raccontare lo splendore dell’essere, lo splendore del Creato e della bellezza che l’uomo ha saputo generare nei millenni. E, in particolare, la bellezza generata dalla fede. Perché l’annuncio cristiano, fin dai tempi delle catacombe, ha avuto bisogno non solo di essere detto, ma di essere visto, e questo grazie all’Incarnazione: il Creatore che si fa creatura, l’Infinito che si fa finito, l’Eterno che si fa tempo e storia. La bellezza è il volto più autentico dell’essere perché è il volto stesso di Dio. È fragile: richiede cura, amore, dedizione, contemplazione. Ed è insieme potente: la bellezza del Creato e la bellezza delle arti ci avvicinano a Dio. E l’arte cristiana abbraccia tutto, il dolore e la gioia, la povertà di Betlemme e la gloria del Tabor, il crocefisso e il risorto.
Il racconto di “Luoghi dell’Infinito” è sempre nel segno del dialogo, dialogo tra i saperi, dialogo tra personalità anche lontane per sensibilità, cultura, credo religioso. “Luoghi dell’Infinito”, come ha scritto il presidente Sergio Mattarella in occasione dei vent’anni della rivista, è “spazio di dialogo e conoscenza, anche grazie al contributo di grandi firme. Il dialogo tra culture e religioni diverse contribuisce ad alimentare la pace e la speranza”. E di pace e di speranza abbiamo bisogno in questi tempi segnati dal dolore e dalla guerra.
La gratitudine è il modo più vero e più bello di stare al mondo. Ringrazio tutti coloro che hanno voluto “Luoghi dell’Infinito” e creduto in “Luoghi dell’Infinito”: la Conferenza episcopale italiana, l’editore, i direttori di “Avvenire” Dino Boffo, Marco Tarquinio e Marco Girardo, il direttore generale Alessandro Belloli e coloro che l’hanno preceduto. I tanti collaboratori, le grandi firme, i fotografi, gli artisti. E coloro che hanno collaborato e collaborano alla redazione e alla grafica della rivista, in particolare Edoardo Castagna, Alessandro Beltrami, Anna Maria Brogi, Massimo Dezzani, Lorenzo Rosoli, Antonio Talarico. E chi in modi diversi ci ha aiutato con continuità a rendere la rivista più bella: Alessandra Ballico, Max Mandel, Leonardo Servadio, Alfonso Ficarra.
Ringrazio i lettori che credono e amano “Luoghi dell’Infinito”.
Ringrazio lo stampatore Mediagraf, per aver accettato la sfida di una stampa di grande qualità.
Ringrazio i tanti che in questi anni hanno firmato “Luoghi” e che ora ci guardano dal Cielo: Zygmunt Bauman, Ulderico Bernardi, Tina Beretta Trezzi, Sandro Boccardi, Anna Maria Cànopi, Loris Capovilla, Giovanni Chiaramonte, Philippe Daverio, Roger Etchegaray, Enzo Fabiani, Giuseppe Laras, Mario Luzi, Gabriel Mandel, Carlo Maria Martini, Alda Merini, Pepi Merisio, Domenico Montalto, Ermanno Olmi, Antonio Paolucci, Michele Piccirillo, l’abbè Pierre, Heinrich Pfeiffer, Franco Zeffirelli…
Infine, ringrazio la mia famiglia: “Luoghi” è stato per me come un figlio, il mio quinto, che spesso ha avuto esigenze da figlio unico.
Auguro a “Luoghi dell’Infinito” di crescere ancora, diventare più bello e profondo e di abbracciare con gioia e passione gli inesauribili orizzonti del dialogo tra l’uomo, la Creazione e Colui che tutto crea e sostiene.
Gianfranco Ravasi
Quella stella polare chiamata bellezza
La mia è anche testimonianza personale: ero presente anch’io nel piccolo gruppo di persone convocate nel 1997 da Giovanni Gazzaneo nella sede milanese di “Avvenire” per dare l’avvio a “Luoghi dell’Infinito”. Sinceramente mai avremmo sperato che si sarebbero raggiunti i 300 numeri, e soprattutto in così bella, anzi splendida forma. Sì, perché caratteristica, non solo esteriore, della rivista è da sempre una qualità che può essere senza esitazione rubricata sotto la categoria della bellezza. Essa brilla in ogni pagina patinata dell’intera raccolta dei fascicoli distribuiti nei vari mesi di questi ventotto anni, soprattutto attraverso la straordinaria sequenza iconografica che intarsia i testi degli articoli. Ma la bellezza è anche la stella polare della mission, come si è ormai soliti dire, della stessa rivista. Infatti, è ciò che è stato ininterrottamente proposto nelle sue pagine luminose, quasi “miniate” con immagini antiche e nuove, vere e proprie epifanie di bellezza. Non solo quella creata dal pennello o dallo scalpello o dall’obiettivo governati dalle mani dell’uomo, ma anche la bellezza che il Creatore stesso ha effuso nell’universo. La bellezza è, poi, principio di speranza. Il suo antipodo è, infatti, la violenza personale e bellica, che in questi tempi si presenta tragicamente sulla ribalta mondiale. La violenza infrange sia l’armonia del Creato sia quella della creatura-prodigio − come diceva il Salmista (139,14) − che è la persona umana. Nella nostra lingua ci sono due vocaboli affini che hanno, però, un duplice e distinto significato: dal termine “brutto” derivano “bruttezza”, che è lo squallore estetico, e “bruttura”, che designa invece la degenerazione morale. Entrambe queste realtà s’intrecciano tra loro e producono infelicità, desolazione e spesso disperazione. Ritornare ad amare la bellezza, a scoprirla e custodirla nella natura e nella vita umana è stata e sarà l’opera culturale, sociale e spirituale attuata da “Luoghi dell’Infinito”. È un impegno che può diventare sorgente di fiducia, speranza e salvezza. Solo così si può ripetere in modo autentico l’abusato (e spesso stereotipato fino all’enfasi) asserto di Dostoevskij sulla «bellezza che salverà il mondo».
Carlo Ossola
Nello sconfinato abbraccio
“Luoghi dell’Infinito”: titolo ambizioso, sconfinato. E insieme “luoghi” definiti, riconoscibili. Non c’è contraddizione tra il sostantivo reggente e il suo genitivo? Non secondo Aristotele, che nel libro III della Fisica afferma: «Di conseguenza, se il luogo dell’infinito è di essere in sé, tale sarà anche il luogo della parte, che avrà ugualmente il riposo in se stessa» (III, cap. VII, § 26). Questa magnifica definizione detta anche le condizioni per riconoscere se in una parte (e dunque nel nostro caso in un fascicolo, in un tema proposto) ci sia davvero l’infinito: per Aristotele la condizione è adempiuta se la parte «ha ugualmente riposo in se stessa». Ora, ciò che da lettore ricavo, dalla felice storia dei “Luoghi dell’Infinito”, è che il loro centro, la finalità che si dispiega, è il conseguimento di una “dimora”, dimora dello spirito, ove il viaggio se non meta trovi riposo. Non si tratta tuttavia di una fittizia Arcadia. Quello “stare” è uno scegliere il luogo che ci “obbliga”: il celebre hic manebimus optime non fu pronunciato alla scoperta di una convalle o di una riva edenica; ma − riporta Tito Livio − fu il piantare le insegne nel luogo più minacciato, nel centro del Foro, in piena invasione barbarica (Ab Urbe condita libri, V, 55). Un “luogo che ci obbliga” e che, scelto, ci dà riposo in se stesso: ecco la missione, sempre viva, dei “Luoghi dell’Infinito”.
Guido Oldani
Senza Europa
Il tempo se la svigna, come un treno che non preveda stazioni di fermata, ma molto paesaggio laterale cui rivolgersi. È questo che mi viene in mente pensando alla vicenda dei “Luoghi dell’Infinito”. Una storia che ho visto iniziare. Ora che il mensile è arrivato alla trecentesima copia, mi accorgo quanto esso abbia lasciato di inciso nella mia certificazione anagrafica. All’inizio del secolo precedente, a ridosso del primo evento bellico, era venuto al mondo Il tramonto dell’Occidente di Spengler. Ne è passata di acqua sotto i ponti, sempre che i ponti continuino ad esistere in questo desiderio di distruzione senza pari. I “Luoghi” mi accorgo che sono stati il mio corrimano per varcare la catena dell’Himalaya del cambio di millennio. Il titolo spengleriano è diventato quasi un “Dopo l’Occidente” o più semplicemente, giusto per parlare esclusivamente di casa propria, un “Dopo l’Europa”. Sì, perché se nel secolo del millennio precedente ci sono state due guerre mondiali, ora ci sono stati due prosciugamenti impareggiabili riguardanti l’Europa: il Covid, con il suo saccheggio finanziario che abbiamo subito, le guerre con un altro saccheggio relativo all’esborso continuo di armi. Ma cosa c’entra tutto questo con i “Luoghi dell’Infinito”? A mio avviso c’entra eccome. La storia orrenda del primo Novecento, affidata alla narrazione dei festival cinematografici e dello sciatto giornalismo televisivo, ha portato, anziché a considerare la storia come maestra di vita, a una noia da dismettere totalmente. Sono queste attività che hanno spinto la gioventù a disinteressarsi sia della storia propria che della cultura. E cioè, questo modo culturalmente asettico di vivere ha abolito l’identità europea. I “Luoghi dell’Infinito” a me personalmente hanno consentito di narrare, mediante i nomi di futili oggetti, le quattordici stazioni in salita dell’assassinato per eccellenza, andando verso l’individuazione di una nuova possibile modalità di esprimere lo spirituale. Questo non è poco. Al tempo dell’accatastamento dei popoli nelle metropoli, che mi sia stato consentito un uso alternativo del linguaggio lo considero un semi-miracolo o un miracolone tout-court. Accanto a scritti sempre interessanti che ho rubato negli articoli di tutti, l’individuazione più significativa, secondo me, sta nell’iconografia dei “Luoghi dell’Infinito”. Oggi che vi è una ripulsa per l’eccesso d’immagine, i “Luoghi” hanno saputo amministrare una regia iconografica tale da sorprendere la benevolenza o malevolenza di qualunque lettore anche occasionale. Mi viene alla mente Sinfonia pastorale di Gide. Se non ricordo male, la giovane non vedente allevata dal pastore protestante, quando adulta le verrà data la guarigione dalla sua minorità, si suiciderà per aver visto il mondo che immaginava in modo affatto diverso. Ecco qui, i “Luoghi” hanno ottenuto l’effetto esattamente contrario: con le proprie immagini di dipinti, affreschi, sculture, miniature, ma anche fotografia e grafica, essi hanno calamitato la nostra attenzione sulla storia millenaria della nostra civiltà e del nostro sacro. Mi verrebbe da dire che se la ragazza di Gide si fosse imbattuta nella vasta iconografia di questo mensile, forse sarebbe viva ancora oggi. In questi mesi, ho seguito il dibattito lanciato sulla cultura dei cattolici da Pierangelo Sequeri e Roberto Righetto e i vari interventi hanno confermato il disagio segnalato dai due promotori. Eccoci al dunque: i “Luoghi dell’Infinito” hanno vivificato un senso della storia nell’intrinsecità del sacro. Ma c’è di più: al tempo della fine dell’identità europea, ma forse anche occidentale, i “Luoghi” rappresentano un sano esplosivo del chi si è noi europei a questo mondo. Questa storia editoriale significa una prima risposta all’interrogativo cruciale posto sulla cultura cattolica. Immagino un futuro necessario in cui il “pensiero debole” di un filosofo come Gianni Vattimo possa proporre la condizione più fertile per il pensiero sacro e religioso. Mi piace sognare che nella piazza del Duomo di Milano o in quella di San Pietro a Roma vengano eseguite delle opere del patriarca Arvo Pärt, che ci regali la sua corrente del golfo al contrario, con la musica di lui, cristiano ortodosso, che scenda deliberatamente dalla sua Tallinn estone, fino a noi, per ribadire che l’identità europea “la c’è”, come si diceva per la manzoniana provvidenza. Come non concludere se non ringraziando di questa trecentesima puntata della vicenda di Giovanni Gazzaneo, che ci ha consentito, con la sua lunga serie di monoliti di bellezza, la costruzione di questa muraglia cinese che ci tiene allenati all’idea di un possibile buon gusto.
Luoghi dell’Infinito
ho seppellito il mio televisore
in una bara presa riciclata,
di notte l’ho imbucata in mezzo a un prato.
da che siamo spellati dalle guerre,
in europa, che è una tasca vuota
sembriamo quasi tutti imbalsamati
in specie gli storditi giornalisti,
fortuna i luoghi hanno gli infiniti,
o noi saremmo bipedi sbiaditi.
Daniela Padoan
Il coraggio di essere inattuali
Ogni numero di “Luoghi dell’Infinito” è un dono, un mondo che si spalanca man mano che ci si addentra nelle sue pagine ariose e dense, un’oasi di intelligenza e bellezza che promette rifugio in tempi sempre più distruttivi e chiusi. Una guida per viaggi interiori che a volte diventano anche fisici, nella scoperta o riscoperta di itinerari illuminati dalla grazia del pensiero e dall’amore per i luoghi e l’arte, come nel caso dello splendido numero dedicato alla Val d’Orcia, che mi ha fatto decidere di tornarci tenendo la rivista come bussola. Sestante, cannocchiale. Strumento per ritrovare lo stupore dell’orizzonte e del cielo. Che ne è dell’etica, senza il cielo stellato? Quel cielo che abbiamo oscurato, inquinato, perso, lo ritrovo in ogni numero, e mi chiedo quanta dedizione e forse anche coraggio debba volerci, ogni volta, per essere così felicemente inattuali. Senza la bellezza il mondo perderebbe la sua essenza. Sta a noi coltivarla, proteggerla, svilupparla, tramandarla, Abbiamo il dovere di trasmettere ciò che abbiamo contemplato! Sta a noi operare secondo le categorie del bello e del buono, perchè quello che facciamo sia sempre molto bello e molto buono.
Sergio Givone
Presenza e assenza: sfiorare l’Infinito
Quando Georg Cantor, il grande matematico tedesco, si mise in testa di dimostrare che l’infinito è qualcosa di reale, e non soltanto di virtuale, fu preso per matto. Ma alla fine colleghi e allievi dovettero riconoscere che aveva ragione lui. Definire l’infinito non si può. Eppure sappiamo che esiste un infinito matematico, un infinito fisico, un infinito metafisico… e altri ancora. Soprattutto sappiamo che se la nostra vita sta nel segno della finitezza, tuttavia è con l’infinito che dobbiamo fare i conti. L’infinito è intorno a noi, è in noi, è sopra di noi, anche se non ce ne accorgiamo o fingiamo di non accorgercene. Farci vedere e quasi toccar con mano l’infinito nei luoghi da noi abitati (o mai conosciuti o anche solo fantasticati) è il compito che questa rivista si è data e a cui è rimasta fedele. Diceva Cartesio: l’infinito ci abbraccia, ma anche se noi non possiamo restituirgli l’abbraccio, possiamo pur sempre “sfiorarlo”. Sfiorare l’infinito. Sfiorarlo con tocco leggero e sapiente. Mostrarne la presenza e anche l’assenza. È quanto “Luoghi dell’Infinito” cerca di fare in ogni sua pagina. E lo fa benissimo.
Erri De Luca
Quella passione per il viaggio oltre
Ricevo “Luoghi Dell’Infinito” da moltissimi anni. Il titolo è una visione geometrica. Sono i punti di una terra che non ha inizio e non ha fine. L’infinito è una delle prime vertigini della mente, trasmette l’idea del vuoto. Ed ecco il bisogno di reggersi a qualcosa. Ecco i luoghi: nel corso degli anni il mensile ha offerto al viandante abbagliato dall’immenso punti di consistenza, punti di appoggio. Luoghi sacri, sia in posti umili sia in posti meravigliosi, punti fermi nella deriva dell’universo, per il viandante che ha fame e sete di verità. A sfogliarli, come a visitarli, si ottiene il conforto di una stazione di arrivo. L’infinito è un viaggio in carrozza e la rivista ci ha proposto un lungo e meraviglioso viaggio. Ammiro le illustrazioni di opere d’arte prese da un raffinato catalogo di enorme vastità. L’alta definizione della stampa mi rende comodo spettatore in visita privata a un museo. Gli scritti dedicati al tema di ogni numero non sono articoli, ma saggi di specializzata competenza. Uno per tutti di quelli che leggo a fondo è Gianfranco Ravasi, biblista, cardinale. Raro ma sicuro con lui: poter leggere e imparare.
Lisa Ginzburg
Nutrirsi di meraviglia
Per me, che come narratrice tante volte mi trovo a dover immaginare paesaggi, che quando imbastisco una storia è giocoforza ne visualizzi spazi e panorami e dia loro nuove dimensioni, concentrata in una trasposizione dei luoghi in parole che coincide a volte con l’inventare entrambi di sana pianta, questa rivista rappresenta una gemma preziosa. Testi, riproduzioni, fotografie: a ogni numero che sfoglio e leggo non c’è dettaglio che nella sua estrema accuratezza non accenda la mia meraviglia, e quell’effetto fascinoso, a tratti straniante, che è delle fantasie quando si realizzano. Dislocamento, anche: perché ogni numero di “Luoghi dell’Infinito” è un viaggio a sé, nel cui periplo ci s’immerge addentrandosi nelle caratteristiche più recondite di un posto, le meno conosciute o quelle già note, ma rivisitate con la sonda trasparentissima della curiosità appassionata. Il nutrimento che sa dare un dislocarsi tanto completo − per come corredato di storia, arte, geografia... dosate e miscelate insieme − e l’infinitudine è allora contatto asintotico di realtà e nostro vagheggiarla, e all’opposto memoria o speranza che sui luoghi proiettiamo. Equilibrio teso verso l’infinito, quello che a ogni numero “Luoghi dell’Infinito” sa celebrare.
Emilio Isgrò
Una speranza sull’orlo del precipizio
I luoghi dell’Infinito sono i luoghi della poesia e della libertà. Che proprio il mondo cattolico apra questi luoghi, che spesso parevano chiusi, è un segno di quella speranza religiosa e laica di cui tutti abbiamo bisogno in questo momento, al di là delle nostre convinzioni ideologiche, politiche o di fede. Dire che l’uomo è sull’orlo di un precipizio non significa che dobbiamo caderci dentro per forza. Possiamo ancora evitarlo, ed è meraviglioso che una prestigiosa rivista come “Luoghi dell’Infinito”, ideata dal mio amico Giovanni Gazzaneo, ce lo ricordi ogni giorno.
Massimo Lippi
Stampare dal vivo, la bellezza della fede
Ho conosciuto Giovanni Gazzaneo nel 1981 leggendo un volantino in cui si annunciava con forte convinzione il misterioso valore e il dono immenso della vita nascente. Non era firmato, ma sentivo che quel breve testo, che accompagnava una potente immagine, celava un pensiero espresso con sferzante certezza, tanto che me lo ricordo ancora. Non avrei mai immaginato che quel giovane e ignoto estensore di così ben articolate parole diventasse un giorno un caro amico. “Si navigava a vista” in quel fine secolo, anni ’75-’85, che preannunciava la sequela di un progredire infinito, specie nel reparto del benessere galoppante che è sbarcato puntualmente nelle sabbie mobili. È stato sempre così in ogni voltata della storia recente e antica. Quel giovane dai folti capelli ricci, come fosse un’artista d’avanguardia o un filosofo delle Università Americane, aveva un aspetto granitico e certi occhietti curiosi di chi cerca nella folla cittadina un disperso compagno di giochi. Quasi andasse scartabellando a occhiate la realtà e gli argomenti futuri della sua professione. Ogni passante che attraversava il suo spicchio di strada era una potenziale riflessione per ravvivare le persone allo stupore, alla vertigine della Bellezza. Era già carico di quella salutare inquietudine di chi non si aggrega a caso, ma soppesa e ragiona fra sé con quella previdenza e con quello slancio che albergano solo nella profondità dell’Anima. Intanto maturavano i fatti e i misfatti di una società sempre più violenta che insieme mischiava l’impegno, talvolta intollerante, con dichiarazioni ondivaghe di un mondo rifritto nell’utopia che confonde i mezzi con il fine ultimo. Il suo amore per la vita si allargava sempre più dalle terre di Maremma al sagrato del Duomo di Milano. Voleva strigare la matassa con il paziente lavorio intimo ai nodi principali della vita e della morte, della Bellezza del Creato che è il disegno sottile d’un Pensiero Amoroso, che va dalle ricchezze artistiche al deposito di meraviglie nascoste in una Pieve, in un’Abbazia sconosciuta come nei capolavori d’ogni tempo e paese. Sentiva già l’importanza e il peso della Tradizione ma sondava, a modo suo, tutte le avvincenti espressioni dei popoli, caratterizzati in fondo dallo stesso Animo. Perciò la sterminata fotografia del Creato non è stata per lui una vanagloriosa rappresentazione televisiva, dove lo spettacolare è fine a sè stesso, ma quelle immagini sono sempre state sorrette da un commento che sorgeva vivo e spontaneo per lo stupore provato. Insomma l’Arte e la Creazione hanno in comune la meravigliosa scoperta in cui la persona onesta fa naufragio. Meglio a guazzo che a spasso. Dietro quell’apparente semplicità c’era un lavoro intenso fatto di intuizioni e di selezioni accurate, sorrette da appassionati e competenti collaboratori. Giovanni Gazzaneo è sempre stato affascinato dalla Bellezza della Fede e questo suo credere lo ha declinato chiamando nella sua rivista le sorgenti profonde che tengono in vita il mondo. Pare ancora un ragazzo appena arrivato in redazione e invece è un mugnaio previdente che ha macinato trecento numeri d’una rivista tra le più belle d’Europa. L’ha inventata come un ragazzo inventa un gelato per offrirlo agli amici. Bravo Giovanni. Ora ricomincia da capo come la spola che saetta nel telaio a ordire un’altra storia. Racconta, dal Cantico dei cantici, come la tortora geme negli anfratti della roccia, al nuovo passo d’un’altra primavera: Ora che / di luoghi / e di memorie divampa / lieto / un altro Giorno.
Santo Versace
Il racconto che indica la via
Sfogliare “Luoghi dell’Infinito” è pura poesia. Il racconto che ci viene offerto di questo nostro splendido mondo, della gente che lo abita, delle culture che lo animano, delle storie che abitano la memoria, delle storie che sono state dimenticate e che vale la pena riscoprire, è un racconto di Verità. Una Verità poetica e insieme radicata nella realtà. Sfogliare le pagine di “Luoghi dell’Infinito” è toccare con mano la realtà, è vivere un incontro con la bellezza in termini reali, con la felicità e con il Vangelo in termini reali. Perché è proprio il Vangelo l’orizzonte di questa lunga storia. La Verità di questa straordinaria avventura di sapere, di arte, di musica, di poesia ha nel Vangelo la sua sorgente. L’amico Giovanni Gazzaneo e chi con lui ha dato e dà vita a queste pagine, erano e sono tutti cercatori assetati della Verità e affascinati dalla Bellezza e dal Bene e vogliono raccontarli. Oggi ancora di più. “Luoghi dell’Infinito” racconta il Bello della vita, indica quel che c’è di bello e di buono da fare. Non parla del brutto, non perché così il brutto magicamente scompare, ma mostrando il Bello indica la strada della vita. Più parli del Bello e più fai vedere il Bello, più porti i bambini a crescere bene, a desiderare il bene e gli adulti a operare per il bene comune. Per questo esprimo la mia gratitudine.
Davide Rondoni
L’arte, ricerca della vita vera
Che tipo di esperienza è quella che ci accade incontrando un’opera d’arte? “Luoghi dell’Infinito” già nel suo titolo porta una indicazione. In effetti, l’esperienza dell’arte si potrebbe sintetizzare come trovarsi, a volte inaspettatamente, in un “luogo dell’infinito”. Ma perché − comunque risuona e cresce la domanda − e che genere di esperienza è questa? Qualcosa che riguarda la sfera del sentimento? Dell’espressività? Della creatività? Del fare i conti coi demoni e con il cielo? O ancora riguarda la sfera del benessere o della cura come si dice oggi abusando di un termine ormai divenuto fastidioso? Ma l’arte ha vastità come la vita e contiene tutte queste dimensioni, dall’effetto benefico per forza di composizione (gli artisti non creano, compongono) di contro alla decomposizione, la morte, all’effetto del¬l’entusiasmo, a quello più sottile ma profondo della contemplazione che pare a volte un’altra faccia dell’oblio, e sono entrambi sperdimento nell’essere. Ma le opere d’arte sono innanzitutto e per tutto questo atti di conoscenza del segreto del mondo. La riduzione dell’esperienza estetica da conoscenza a “espressione” o, peggio ancora, a branca secondaria dell’intrattenimento o del “benessere” è uno dei guai principali del nostro tempo. Aver indotto le generazioni presenti e specie le più giovani a credere che l’arte sia una forma di espressione ha impoverito il valore dell’atto artistico e dell’esperienza estetica che ne consegue. Dante come Michelangelo o Leopardi non si reputavano (solo) gente brava a esprimersi, tizi capaci di scolpire o scrivere, ma uomini della conoscenza. Impegnati, attraverso anche il gesto artistico, nella ricerca del vero, pure quando tale “vero” sembra contrastare le più profonde visioni antiche. E la conoscenza della vita, per via artistica è tanto fiammeggiante, emozionante, personale, quanto umile. E di tale fiammeggiante umiltà è segno questa rivista inventata e amorevolmente e autorevolmente curata da Giovanni Gazzaneo.
Arnoldo Mosca Mondadori
La musica e il silenzio per un Canto che non conosce fine
“Luoghi dell’Infinito” è per me l’unico progetto editoriale di rivista che in realtà è qualcos’altro.
Rappresenta un “tipo” di arte che non è giornalismo o rivista di arte soltanto, ma una vera e propria nuova arte. Nei “Luoghi” c’è la musica e c’è il silenzio. Ogni numero sembra sia il primo uscito e nessuno dei numeri risulta mai datato. Sono pagine vive, che tutte insieme sono come un film pieno di bellezza che non vorrei finisse mai. Grazie a Giovanni Gazzaneo, perché il suo sguardo è capace di farci intuire come sia la Bellezza in realtà a sostenere il mondo.
Bisognerebbe spedire i numeri dei “Luoghi dell’Infinito” a tutti i “potenti” della terra, che ogni giorno pianificano invece le distruzioni. Far vedere loro come la più piccola delle chiese fotografate sui “Luoghi” ha in sé stessa un pensiero di costruzione meraviglioso. I pittori, gli scultori, gli architetti che Gazzaneo sceglie, sono coloro che invece di distruggere, portano nel mondo le armonie. Come se i Cieli si riversassero sulla terra. Questo dicono i “Luoghi “: il Cielo che nell’arte si fa vedere sulla terra.
“Luoghi dell’Infinito” non appartiene dunque soltanto all’editoria. I numeri dei “Luoghi” sono come i capitoli di un Canto che non ha fine, come una musica, una lode. Aprire un numero dei “Luoghi”, in una sua qualsiasi pagina, ci fa sentire come le armonie, nel silenzio, fanno vivere il mondo.
Mariella Enoc
Nel segno del Bene
Bisogna sapere vedere il bello anche nelle realtà più difficili e bisogna sempre portare bellezza.
La mia professione è la mia missione è stata proprio questa: occuparmi dei luoghi di cura e farli diventare luoghi di speranza. Il dolore rinchiude in se stessi e se non c’è una mano tesa si va verso il baratro. Sono quattro le colonne portanti: la ricerca scientifica, l’assistenza, la relazione, il luogo dell’accoglienza. La ricerca scientifica è una grande forma di carità diceva Paolo V|, chi arriva in un ospedale vuole essere guarito o almeno ritrovare una migliore condizione di vita e se la ricerca si ferma ogni speranza viene meno. La ricerca deve partire dal paziente malato e a lui riportare i risultati raggiunti. C’è poi la clinica, non solo il curare ma il prendersi cura di tutte le dimensioni della persona da quella fisica a quella psicologica senza dimenticare la componente spirituale, curare in modo olistico. Assistere deve significare non puri atti materiali ma un coinvolgimento nel sentire la domanda profonda della persona di cui ci prendiamo cura.
Nel luogo di cura sono fondamentali le relazioni: relazione tra scienziati e clinici, relazioni tra tutti gli operatori della comunità curante, relazione con le famiglie che devono essere considerate non un disturbo ma una parte importante nel processo di miglioramento o di guarigione. Il paziente deve essere al centro del sistema di relazione dedicando ascolto,molte volte si fanno migliori diagnosi con la narrazione del paziente che con molti esami clinici. Oggi si misura troppo la produttività e meno il benessere delle persone che percependo empatia nei loro confronti aumentano la fiducia e rendono più facile il percorso di cura. L’ultimo ma fondamentale è il luogo fisico della cura che oggi deve essere rivisto perché la maggior parte degli ospedali e’ obsoleto e molte volte toglie dignità alle persone. Ritrovare il senso del bello, dell’ordine, del fare sentire le persone a casa, dell’accogliere con simpatia, questa è una visione che è necessario promuovere se vogliamo fare sentire che il bello si traduce in bene. E per questo sono grata alla lunga e feconda missione di “Luoghi dell’Infinito” che sa declinare fin dalla sua nascita la bellezza nel segno della speranza.
Claudio Strinati
Quel sogno d’Infinito nel cuore dell’esistenza
L’ unico luogo possibile dell’Infinito è quello su cui si fonda la Fede del credente: è il Paradiso, comunque si voglia poi descriverne lo stato. É certo, però, come lo stato paradisiaco non possa finire mai, dunque sia collocato nella concezione dell’Infinito. Si potrebbe obbiettare che l’Infinito, però, non solo non finisce mai ma non comincia neppure. Ma questo è coerente con l’idea paradisiaca che è il presupposto e l apoteosi insieme dello Spirito immortale. Perché l’equivalenza “immortalità/ infinito” sembrerebbe graniticamente concepita.
Ma si tratta soltanto di una esemplificazione metaforica perché, posta l’idea dell’immortalità non per questo è direttamente comparabile con l’idea di Infinito.
L’idea di Infinito che possiamo farci sul serio è, al più, quella del “non luogo a procedere”, una frase che viene utilizzata nel mondo giudiziario.
Si proclama il non luogo a procedere quando l’accusato viene valutato come non trasformabile in imputato. La distanza tra queste due condizioni, di accusato (o magari solo “informato dei fatti”) e di imputato, assomiglia un po’ alla corsa di Achille e la tartaruga secondo l’apologo di Zenone e in quell’ apologo c’è veramente una intuizione di infinito che è dipanabile solo sul piano matematico ( si dimostra che Achille non raggiungerà mai la tartaruga) e Leibniz la sviscerò arrivando a formulare una ipotesi di calcolo infinitesimale tutt’ altro che superata. Ma il calcolo è un’astrazione, non una metafora di qualcos’altro. E allora il passaggio dal criterio matematico a quello filosofico-religioso è di certo possibile ma non potrà che essere arbitrario, perché basato su categorie interpretative diverse. Quella matematica è l’esattezza, quella filosofica è la verità.
Non c’è alcun luogo dove si possa procedere nell’infinito, ma c’è nello spazio matematico che è però un non luogo. Però nella mente umana il non luogo per eccellenza è quello del sogno e l’Infinito è un sogno. E nel sogno la relazione esatta tra passato, presente e futuro è incerta. Non è ben chiaro quando comincia e quando finisce. Confina con l’idea di Infinito ma certamente non ci si identifica, se non talvolta sul fare del mattino ma per un attimo. E l’attimo, è noto, può ben essere un aspetto dell’Infinito stesso.
Agostino Arrivabene
Quel crocevia per uno sguardo Oltre
Scrivere di “Luoghi dell’Infinito” significa immergersi in una storia straordinaria, in cui la rivista ha rappresentato, per me e per molti altri, un’autentica accademia. In questo spazio, poesia, arte – dall’antichità alla contemporaneità – letteratura, filosofia e teologia si sono incontrate in un dialogo fecondo, simile a quello dei simposi dell’antichità o delle antiche accademie. Qui, le menti più acute e i cuori più sensibili si sono confrontati per restituire ai lettori una visione profonda, dove la bellezza e il Mistero del sacro si intrecciano con le espressioni più elevate dell’arte umana. Per me, come artista, “Luoghi dell’Infinito” è stato più di una semplice rivista: è stato un crocevia di interlocutori di altissimo livello, un luogo in cui le discipline si sono illuminate a vicenda, offrendo spunti, riflessioni e intuizioni che hanno arricchito il mio percorso creativo e spirituale. Ogni numero ha rappresentato un invito a guardare oltre il visibile, a cogliere l’infinito che si manifesta tanto nell’opera dell’uomo quanto nella creazione divina. È questa sintesi che ha conferito alla rivista un “luccichio inalterato”, una luminosità che, anno dopo anno, non solo si è conservata, ma è cresciuta, raggiungendo oggi l’importante traguardo dei 300 numeri. Un traguardo reso possibile grazie alla guida sapiente di Giovanni Gazzaneo, che ha tenuto il timone con fermezza e visione, orchestrando ogni mese una polifonia di voci. Gazzaneo ha saputo dar vita a un’opera che non si limita a celebrare la bellezza, ma invita chi legge a incontrarla, ad amarla, a comprenderne il valore profondo e universale. Nei “Luoghi dell’Infinito”, il cuore batte di fronte alla bellezza della creazione umana e divina, in una sorta di “liturgia culturale” che richiama l’essenza stessa del sacro. La speranza è che questa missione continui anche in futuro, perché la presenza di una realtà editoriale così unica, capace di trasmettere valori eterni e trascendenti, è oggi più che mai rara e necessaria. Che “Luoghi dell’Infinito” resti un luogo in cui lo sguardo umano possa aprirsi verso l’oltre, dove il Mistero diventi visibile e la bellezza sia un ponte verso l’infinito.
Adriana Beverini
La passione del dialogo che tutto abbraccia
Cos’è la Bellezza? In tanti nei secoli hanno provato a definirla senza riuscirci. Albrecht Dürer, dopo essersi a lungo interrogato su cosa fosse, ha scritto con sincerità: «Cosa sia la bellezza, non lo so». La Bellezza sembra infatti sfuggire a ogni definizione ed è sicuramente per tale motivo che risulta parente stretta dell’infinito. Proprio a questo ho pensato nel 2023 quando ho voluto assegnare a Giovanni Gazzaneo il Premio Montale per la sezione Editoria. In quella circostanza, nello scrivere la motivazione del Premio, mi sono chiesta se lo stavamo premiando per le tante iniziative promosse in ambito culturale (concerti, eventi teatrali e di poesia, convegni, concorsi rivolti ai ragazzi e ai giovani), per le trenta monografie dedicate ad artisti e fotografi curate in questi ultimi vent’anni (la gran parte a corredo di importanti mostre) oppure principalmente per la passione da lui sempre mostrata nei confronti della Bellezza. Gazzaneo, da sempre infatti, ha avuto il merito, almeno ai miei occhi − del resto Goethe non diceva forse che la bellezza è negli occhi di chi guarda? −, di regalarci Bellezza, nella convinzione che essa è il volto più autentico dell’essere ma che per la sua fragilità richiede cura, amore, dedizione. E per tante persone l’appuntamento con questo dono si è rinnovato dal 1997 ad oggi, specialmente grazie alla rivista “Luoghi dell’Infinito” da lui ideata e curata, giunta ormai ai 300 numeri. Ogni mese l’uscita di questa rivista è stato atteso, desiderato, perché Gazzaneo ha avuto il merito di farci comprendere che la bellezza non è solo un puro fattore estetico, ma è piuttosto come un racconto, in testi e immagini, della bellezza della Natura e della bellezza generata dall’uomo, in particolare per esprimere il senso religioso. Ed uno dei grandi meriti di “Luoghi dell’Infinito” è stato proprio nel suo “religare”, nel suo unire, nell’ aver creduto che è possibile un dialogo ed un incontro tra culture, saperi e fedi diverse, tra personalità anche lontane per sensibilità, cultura, credo religioso.
Raffaele Pe
Uno spartito tra sacro e profano
“Luoghi dell’Infinito” è una rivista unica per la sua cura nell’unire sacro e profano, teologia e arte, materiale e immateriale in un mensile ad uso del grande pubblico. Una missione non scontata e tanto necessaria in questi tempi in cui il nostro campo artistico non è più facilmente praticabile e riconoscibile. Come la musica che oggi nasconde la sua bellezza in un mondo talvolta troppo rumoroso e assordante. Mille di questi numeri a un grande compagno di viaggio per chi ancora cerca suoni puri sul suo percorso.
Alessandro Zaccuri
Alla ricerca del vero con umiltà e attenzione
In più di un’occasione è sembrato che “Luoghi dell’Infinito” conoscesse i miei interessi meglio di me. Sarà perché il mio primo incontro con Giovanni Gazzaneo risale alla metà degli anni Ottanta, quando entrambi avevamo appena iniziato a praticare il giornalismo con Cesare Cavalleri a “Studi Cattolici” e lui non aveva ancora ideato il mensile che oggi celebra il trecentesimo numero. O magari sarà perché, a forza di giocare all’eclettico come faccio io, qualcuno che ti prende sul serio lo trovi, come fa Gazzaneo le volte che, di punto in bianco, mi chiede di preparare una panoramica cinematografica oppure letteraria su questo o quell’argomento. La prima reazione è di sottrarmi, trincerandomi dietro una dichiarazione di incompetenza. Ma basta che ci rifletta un attimo per rendermi conto che, in effetti, c’è un filo rosso che può legare un film all’altro, un romanzo a un poema, e via di questo passo. Ecco, per me l’esperienza offerta da “Luoghi dell’Infinito” si identifica nella scoperta di corrispondenze che altrimenti resterebbero inavvertite. Lo dico da collaboratore, spesso felicemente costretto ad avventurarsi in campo aperto, e lo dico anche da lettore. L’impianto monografico che fin dalle origini caratterizza la pubblicazione non è soltanto garanzia di costante approfondimento, ma è anche e specialmente un modo per ampliare lo sguardo, includendo nella visuale tanti dettagli che di solito sfuggono. È una dinamica che si ripropone spesso nel rapporto tra fede e cultura: tanto più si crede in Dio, quanto più si diventa curiosi del mondo, che di Dio è il capolavoro inarrivabile e sempre misterioso. Ideato come invito al viaggio, “Luoghi dell’Infinito” è divenuto nel tempo una sfida all’interpretazione, questo gioco infinito che scaturisce dall’alleanza dell’umiltà con l’attenzione. La realtà ha bisogno di essere interpretata non perché sia indecifrabile e ostile, ma perché è sostenuta dalla verità, che è inesauribile nel suo disvelarsi. Per questo occorre attenzione, a questo serve l’umiltà.
Paolo Bolpagni
Arte e Oltre
Mi sono trovato spesso a riflettere su che cosa sia l’arte. Ovviamente non ho trovato una risposta. Del resto, parafrasando Borges, la mèta è il cammino: l’importante è affrontare la questione, non risolverla. E, se ci fossi riuscito, sarebbe sorprendente, dato che innumeri generazioni di filosofi (e, più di recente, anche esperti di altre discipline, come le neuroscienze) hanno dibattuto sul tema senza poter addivenire a una conclusione convincente per tutti e universalmente accettata.
In effetti, quello di arte è un concetto relativo, e in alcune epoche e contesti geografici non compare nemmeno. Per noi Europei, che nel corso di tre millenni abbiamo sviluppato un’altissima forma di civiltà (a partire dalla triade Gerusalemme-Atene-Roma, che abbiamo inscritta in un invidiabile Dna culturale), il termine possiede una connotazione e denotazione piuttosto circoscritte, seppur non del tutto univoche: è implicato con un’idea di bellezza estetica, benché minata da oltre un secolo di sperimentazioni avanguardistiche e post-avanguardistiche, spesso particolarmente sensibili al brutto.
È comunque importante chiedersi perché l’essere umano, fin dai tempi primordiali, abbia avvertito, una volta soddisfatti i bisogni primari, la spinta a produrre ciò che noi intendiamo come arte. Credo che vi siano vari moventi: il desiderio di lasciare una traccia, l’esigenza di esprimersi, di comunicare, forse persino la vanità. Ma io penso che ci sia anche la ricerca di un altro e di un oltre, di un infinito cui si tende non appena ci interroghiamo sul senso del nostro essere-nel-mondo.
L’arte è anti-utilitaristica. Se rispondesse a una necessità funzionale o pratica, non sarebbe tale. Piuttosto, è quel quid insito nel più profondo della nostra psiche, o dell’anima, per i credenti. Insomma, nemmeno io sono riuscito a definirla. Mi sono limitato a scrivere “due o tre cose che so di lei” (mi si conceda la piccola citazione cinematografica godardiana per chiudere con bonaria sprezzatura queste semplici meditazioni, quasi scaturite tra me e me), o, meglio che mi sembra di aver capito, intuìto. Pensieri che volentieri condivido con i lettori di “Luoghi dell’Infinito”, «una rivista nata per indagare - come dice Giovanni Gazzaneo - gli orizzonti dell’arte e dell’Oltre».
Demetrio Paparoni
Leggere è andare in profondità
Ci sono riviste che nascono per essere lette e cestinate. E ce ne sono altre che hanno la pretesa di lasciare il segno con saggi che approfondiscono temi importanti, e che per questo vanno conservate. Luoghi dell’Infinito è tra queste ultime. Giovanni Gazzaneo ha la sana pretesa mandare in stampa una rivista indirizzata a persone davvero interessate alla lettura, per questo si affida a scrittori che, al di là dal loro essere in buona parte noti, sono stimati per il rigore dei loro testi. Questo fa di Luoghi dell’infinito un prezioso strumento di approfondimento culturale.
Stefano Zuffi
“Luoghi” sempre sorprendenti
Quando arriva un nuovo numero di “Luoghi dell’Infinito”, ritrovo le dolci emozioni di quando ero piccolo e aspettavo con impazienza l’arrivo della mia rivista preferita: ecco di nuovo il gusto fisico di maneggiare la carta stampata, il piacere della sorpresa, la confortevole sensazione di trovarmi in uno “spazio” conosciuto ma insieme sempre nuovo, ritrovando, declinati sempre in modo inatteso, nomi, rubriche, grafica e argomenti prediletti. Prima di leggerla, sfoglio tutta la rivista, magari cominciando dal fondo: e ogni volta scopro qualche immagine nuova: l’interno di una pieve, una tavola di una collezione privata, una miniatura che non avevo mai visto prima d’ora. Per uno storico dell’arte è una situazione rara e preziosa, la soddisfazione, addirittura la gioia di vedere per la prima volta un’immagine sconosciuta, aggiungere all’archivio della memoria un nuovo tassello.
Poi, certo, si passa alla lettura: ed ecco i maestri che hanno lasciato un segno importante nella mia vita. Si sente molto bene la mano del direttore d’orchestra, Giovanni Gazzaneo, che coordina e indirizza i meravigliosi solisti. Ovviamente, ci sono numeri che divoro da cima a fondo, affascinato dall’argomento di riferimento. E altri che magari sono un po’ meno vicini al centro delle mie passioni, ma che contengono comunque sempre spunti e sollecitazioni formidabili. Quando sono stato chiamato a partecipare, ho sentito davvero il piacere di partecipare alla “bella scuola”, e vedere il mio nome sulla copertina insieme a quelli di grandi specialisti mi ha dato i brividi, con la fortuna dell’alfabeto che mi lascia sempre per ultimo della lista, e tutto sommato è un posto d’onore!
Poi, beh, ci sono dei segni. Giovanni, mi hai scritto che il prossimo numero parlerà dei cammini proprio mentre con il mio figlio tuo omonimo stavamo progettando una seconda andata a Santiago, questa volta partendo dal Portogallo… Davvero una magia.
Sandro Parmiggiani
La festa dell’incontro
Tra le riviste d’arte e di letteratura che acquisto o alle quali sono abbonato ce ne sono alcune che possono giacere sul mio tavolo, disordinatamente affollato e debordante di libri e di appunti manoscritti, per giorni o addirittura per qualche settimana. Non è certo questo il destino di “Luoghi dell’infinito”, che seguo da anni: al più tardi la sera stessa in cui l’ho ricevuta, quando giunta è l’ora del “piacere della lettura”, l’apro e la sfoglio, immergendomi almeno in uno dei suoi articoli e assaporando le immagini di opere d’arte e di paesaggi che l’arricchiscono e che pure prendono la parola – colgo l’occasione per aggiungere che le pagine culturali di “Avvenire” ospitano talvolta contributi davvero originali e stimolanti.
Un ulteriore apprezzamento della bella impresa di Giovanni Gazzaneo – da lui ideata nel 1997 e che s’appresta a valicare la boa dei trecento numeri – è testimoniato dalla collocazione della rivista nelle varie stanze in cui negli anni è stata costretta a insediarsi la mia biblioteca: solo alcuni libri e riviste hanno una collocazione nelle librerie che rivestono le pareti tale da potere essere rintracciati, quando la memoria ancora m’assiste, ma molti giacciono sul pavimento, su tavoli, entro scatoloni, naufraghi in balia dell’oblio e della dimenticanza. Così non è per “Luoghi dell’infinito”, che è riuscita a trovare posto su due scaffali, con i dorsi allineati che mi consentono di riandare a rintracciare qualche articolo che mi sembri utile ripescare e consultare, magari rinnovando il piacere dell’incontro con autori quali, tra gli altri, Franco Cardini, Carlo Ossola, Elena Pontiggia, Mario Botta. Giovanni Gazzaneo lascia il ponte di comando della rivista e può essere fiero della semina e del raccolto, che meritano di conoscere nuove stagioni.
Maria Gloria Riva
La gioia di contemplare
“Luoghi dell’infinito”: già il solo titolo esprime l’ambizione, la qualità e lo spirito di questa rivista nei suoi 28 anni di vita. Ambizione, qualità e spirito che sono anzitutto del suo ideatore Giovanni Gazzaneo: un uomo dalla sensibilità straordinaria, dalla fede schietta e, insieme, dall’apertura grande alle novità dell’arte e dell’ingegno umano.
Amare la natura e i paesaggi europei, ma soprattutto italiani è facile. Non c’è persona al mondo che venendo in Italia non sia rimasta affascinata dai suoi profili, dalla sua arte e dalla diversità delle sue molteplici bellezze. Facile dunque amarla, ma non cosa altrettanto facile raccontarla. Vi sono realtà - e lo sappiamo bene noi uomini internettiani con il cellulare a portata di mano pronti a fotografare ogni cosa -, vi sono realtà che la fotografia smorza, spegne. Vi sono impressioni che non sempre la parola sa raccontare. Ebbene, la rivista “Luoghi dell’infinito” è riuscita bene in entrambe le cose. È riuscita a raccontare con l’obiettivo e con la penna, grazie ai numerosi e bravi (e scelti) collaboratori, le realtà nella loro struggente bellezza. Ciò è potuto accadere proprio perché in ogni luogo, in ogni esperienza, in ogni opera d’arte, Giovanni Gazzaneo ha saputo scorgere l’ineffabile o, meglio, l’Infinito. Un Infinito da lui visto per primo, ma che ha accompagnato altri a contemplare.
Sono personalmente grata a Giovanni per quest’avventura che, iniziata con “Avvenire” nel 2006, mi ha portato a collaborare con “Luoghi” dal 2014 fino ad oggi. Ricordo il giorno in cui ci siamo incontrati, tanti anni fa per puro caso, a Roma a una mostra di Bosch. Spiegavo alcune opere ad amici e, improvvisamente, alle mie spalle sento l’esclamazione: finalmente l’ho trovata!
Non capivo chi fosse a parlarmi e tanto meno che cosa, costui, avesse finalmente trovato! Scrutai da cima a fondo quest’uomo simpatico. Dal marcato accento toscano, con i suoi occhiali dalla montatura tonda e scura, in giacca e cravatta, eppure con un non-so-che di casual e di stravagante. Impedii al mio cervello di pensare che quell’uomo doveva essere ben strano! E meno male, perché immediatamente si presentò e giustificò la sua esclamazione, dicendomi che desiderava da tempo incontrarmi per propormi una collaborazione. Non solo per “Luoghi”, ma anche per la “Settimana della Bellezza”, evento di cui è instancabile promotore e che si svolge da dieci anni a Grosseto, città d’origine di Giovanni.
Così cominciò la nostra amicizia che fu per me motivo di crescita sia dal punto di vista professionale, che dal punto di vista della conoscenza del delicato mondo della comunicazione.
A tal proposito c’è un’ultima grande virtù che vorrei elencare di “Luoghi dell’infinito” e del suo ideatore: la tenacia. A dispetto delle mode, delle comunicazioni a “spot”, dei Gossip che neppure nell’arte mancano, Giovanni Gazzaneo e la sua rivista sono stati capaci di rimanere fedeli all’ispirazione originale. Fedeli a sé stessi pur raccontando e, a volte, assecondando i tanti cambiamenti che sono avvenuti in questi quasi trent’anni di storia del giornalismo italiano.
Grazie Giovanni per aver contagiato molti, e molte generazioni, alla tua passione per la bellezza di un Infinito che c’è anche dentro alla finitudine che ci circonda.
Elena Pontiggia
Alla ricerca della gemma preziosa
“Luoghi dell'infinito” – l’ho già detto in occasioni non sospette, molti anni prima che fossi chiamata a collaborare - è la più bella rivista che abbiamo in Italia. Non parlo solo dei testi, sempre interessanti (esclusi, si intende, quelli che ho sulla coscienza io), ma anche delle immagini. Arte e natura, poesia e storia trovano nelle sue pagine inaspettate convergenze. E’ una bellezza raccolta, quella che la rivista propone: una grazia non appariscente che rifugge dall'estetismo e dagli effetti cartolineschi, anzi da tutti gli effetti, ma insieme ci ricorda che il creato è un “mistero senza fine bello”, per dirla con Gozzano.
Gli elogi, come i ringraziamenti, sono le parti più noiose di un discorso, e mi rendo conto che anche le mie parole non fanno eccezione. Eppure la verità è che abbiamo bisogno di vedere cose belle. Meritoria, la rivista, quando le coglie nel passato, riscoprendo gemme nascoste o talmente note da essere dimenticate. E meritoria quando le propone nel presente, senza dogmi. Con semplicità.
Leonardo Sapienza
Un capolavoro che parla al cuore
In visita a Firenze nel 1817, Stendhal racconta di essere stato sopraffatto dalla bellezza di Santa Croce, davanti alle tombe di Michelangelo, Canova, Machiavelli. E nelle cronache si legge sempre più spesso di “mancamenti da Grande Bellezza” di visitatori colpiti da malori di fronte a opere d’arte. Un malessere da capolavoro che spesso ha lasciato senza parole anche me, di fronte a tante bellezze presentate in tutti questi anni in “Luoghi dell’Infinito”. La rivista arriva ormai al numero trecento, e in quasi tutti i numeri rimanevo stupito e ammirato nel contemplare la bellezza di opere d’arte o panorami che difficilmente avrò la possibilità di vedere di persona. Davvero la bellezza seduce, ferisce, intimorisce, esalta, ammutolisce. E chi ha la fortuna di avere tra le mani “Luoghi dell’Infinito” può placare la fame e sete di bellezza che porta nel cuore. Come annota Enzo Bianchi, «noi abbiamo bisogno di trasfigurazione per percepire la vera bellezza, per vedere l’invisibile nel visibile». La bellezza è un enigma. E come diceva Giovanni Paolo II «è cifra del mistero e richiamo al trascendente. E invito a gustare la vita e a sognare il futuro». L’uomo di oggi, che nella cultura contemporanea assiste alla dissacrazione del Bello a tutti i livelli e in tutte le forme, può trovare in “Luoghi” il segreto: riflettere la luce del trascendente. Non si può restare indifferenti davanti allo spettacolo della bellezza. Per questo devo essere grato a “Luoghi” e al suo ideatore Giovanni Gazzaneo: in tutti questi anni ha svolto egregiamente il compito di far conoscere la gratuità della bellezza.
Marco Girardo
Essere nel mondo
Raccontare la bellezza del mondo. Questo ha fatto, per trecento volte e in ogni numero, “Luoghi dell’Infinito”, il mensile di Itinerari, Arte e Cultura di Avvenire. Un racconto necessario. Soprattutto oggi, tutti immersi come siamo dentro un flusso informativo scandito da minuti e secondi, uno tsunami di immagini, voci e segni con il quale ci dobbiamo misurare e dal quale, talvolta, persino difendere per non esserne travolti. Storditi dalla frenesia dell’informazione e della comunicazione, stiamo infatti perdendo il senso e il sapore della narrazione. «Fino a quando i racconti sono stati il nostro punto di ancoraggio all’essere − sostiene il filosofo sudcoreano Byung-chul Han − ci hanno assegnato un luogo e grazie a essi il nostro essere-nel-mondo è stato un essere-a-casa». Ebbene, tanti lettori di “Avvenire” (e non solo) grazie a “Luoghi” − come lo chiamiamo confidenzialmente al giornale − si sono sentiti a casa. A casa, con cura e gentilezza, dentro i luoghi dell’infinito, riscaldati dalla bellezza delle immagini, dalla forza dei testi, dalla suggestione dei percorsi artistici, paesaggistici e culturali proposti mese per mese. Per “Luoghi dell’Infinito”, ora, il cammino si fa ancora più interessante: la frontiera da raggiungere, da esplorare e abitare è la nuova grande agorà dell’ecosistema “Avvenire”.