Una notte a un incrocio la verità della resurrezione
Maria Gloria Riva
Guardavo il grande crocifisso presente nel mio Duomo, a Monza, ogni mattina, prima di andare al liceo. In quel momento non avevo certo la fede delle mie nonne o di mia madre, eppure quella croce aveva un fascino unico. Come tutti i giovani non amavo la sofferenza, ma crebbi in una casa dove dolore e amore facevano parte della scansione dei giorni e tutto, persino la morte, era guardato con serenità e con la fiducia grande in un Dio che è padre provvido e buono.
Il nonno paterno morì prima che io nascessi, eppure nessuno più di lui era presente in casa mia. Lo si salutava prima di andare a scuola, raccomandandogli le interrogazioni; si festeggiava tutti insieme il giorno della sua morte, andando al cimitero e rievocando le cose belle che aveva fatto. Si offriva qualche sacrificio per lui a che raggiungesse quanto prima il paradiso. Nonostante lo scetticismo che mi assalì tra gli anni Settanta e Ottanta, dopo la pagina della contestazione giovanile, tutto questo rimase come incollato alla mia anima e mi impedì di cedere allo sconforto e al cinismo di fronte alle cose che, nella vita, cadono sotto il nome di travagli.
Fu molto più tardi, sia a causa del lavoro in teatro, sia a motivo del mio fidanzamento, che ritornai a frequentare la Chiesa. In un viaggio a Lourdes, dove svolgevo servizio come dama di carità, capii che questa visione della vita mi veniva dalla Passione del Salvatore. Mentre osservavo le dolorose situazioni degli infermi che sfilavano dolcemente in processione nel viale verso l’Esplanade mi commuovevo fino alle lacrime. Mi tornava alla mente lo straordinario affresco dell’Arcimboldo, nel mio Duomo: la croce campeggia al centro come un grande albero sotto al quale riposano patriarchi e profeti offrendo, a chi guarda, un senso di sicurezza e di pace.
Ma la certezza della resurrezione, e di una vita che va rispettata e che è sempre e comunque degna d’essere vissuta, doveva ancora farsi strada in me. Era trascorso circa un mese da quel viaggio fra i Pirenei ed ero in macchina con il mio ragazzo: quella sera non avevo voglia di uscire per le tante domande che si agitavano in me. Giunti a un incrocio lo attraversammo col semaforo verde. Dall’altra parte della carreggiata due fari mi abbagliarono, e un’auto in corsa ci travolse. Lo schianto, il buio, il silenzio. Ero lì a ventun anni con la certezza di morire. Toccava a me. Dissi inspiegabilmente di sì e mi abbandonai alla morte, a quella misteriosa volontà che voleva che lasciassi molte cose incompiute. Così dilagò la pace e il buio si rischiarò per una piccola e bianchissima luce che avanzava verso di me, quasi chiamandomi. Seppi senza esitare che quella luce era Dio e che Dio era amore-che-si-dona. Vidi la mia vita con una chiarezza disarmante, la scoprii scevra di quell’amore senza riserve che la luce davanti a me suggeriva. Nel frattempo la normale scansione dei minuti si frantumò: vidi il mio corpo dall’alto, riconobbi chi mi stava soccorrendo e lo salutai, mentre tutti gridavano: «È morta!». Sentii il mio ragazzo ansimare sul ciglio della strada, e nel contempo gustai l’invito silenzioso di quella luce, che scatenò in me una battaglia di sentimenti. Il dolore di non trovare in me lo stesso amore di quella luce si alternava alla gioia di essere amata, voluta, pensata per questo tempo. La rinascita in ospedale fu dolorosa ma piena della luce che avevo incontrato: no, Dio non è morto, Dio è vivo, io l’ho incontrato.
La resurrezione non era più argomento di fede o di catechesi, era esperienza e lavorò in me al punto che non potei più rassegnarmi a vivere senza Dio. Tornai a Lourdes per chiarire le idee sul mio futuro. La Vergine mi prese per mano e mi mostrò il luogo certo dove Cristo vive, qui e ora. Entrai in una cripta dove si celebrava l’adorazione eucaristica. La cappella era avvolta nella penombra e l’Ostia santa, illuminata da dietro, era un punto di luce nel buio. «Eccola là la luce-sulla-strada», dissi tra me e me. È qui e ora, per tutti, per chiunque si accosti a un altare dove il Dio con noi rimane esposto per l’adorazione dei fedeli. Capii che da quella Presenza non mi sarei più allontanata. Quella luce mi accompagna ancora oggi, nella cornice solenne della vita monastica. Essa rappresenta per me la quotidiana certezza che Dio esiste e ama ogni uomo volendolo con sé in una luce intramontabile.