Un idolo moderno chiamato istante
Una recente pubblicità recita: «Perché scegliere quando li puoi avere tutti?», alla quale ne risponde un’altra che profetizza: «Sarete sempre connessi!». Nulla di strano, ci siamo ormai purtroppo abituati; sono solo alcuni esempi, o forse meglio alcuni sintomi, di quel pensiero unico che non si stanca di ripetere il mantra del “tutto e subito”. Si tratta in altre parole di quel trionfo del “presente” nel quale è fin troppo facile riconoscere il tempo per eccellenza della nostra società dei consumi e dell’ipercomunicazione: non ci sarebbero altri tempi, non ci sarebbe più tempo per un tempo diverso dal presente. Tale idolatria del presente – lo ripeto, del tutto comprensibile, direi anzi quasi inevitabile all’interno del nostro attuale modo di vivere: il consumo è sempre al presente, così come al presente è il godimento ch’esso, il consumo, con insistenza promette – sembra trovare una conferma nell’uso dei nuovi strumenti digitali. In effetti, nell’istante stesso in cui gli eventi accadono, subito essi, grazie ad esempio alle fotocamere di cui sono forniti i cellulari, possono essere trasformati in oggetto di una “comunicazione”. Si tratta del famigerato “tempo reale”: ogni evento diventa subito notizia, ma così anche nella notizia, proprio in quanto evento, immediatamente si consuma.
Eppure questa centralità del presente non riesce a liquidare l’inquietudine che accompagna come un’ombra l’esperienza umana del tempo. Ancora una volta è proprio un certo uso del cellulare e più in generale della rete a fare emergere un tratto solo in apparenza paradossale del cosiddetto “tempo reale”. Accade infatti che quando ci si trova nel presente di un “qui” subito ci si metta in contatto con un “là”, come se il presente del “qui” non fosse mai all’altezza del desiderio del soggetto che così sente il bisogno di rilanciare pensando/immaginando/sognando un altro “là”. Anche in questo caso si tratta del godimento del soggetto che tuttavia, proprio perché è del soggetto e non di un semplice individuo vivente, non riesce mai a realizzarsi nel puro presente; quest’ultimo, in verità, è da un certo punto di vista sempre deludente, quindi per poterlo sopportare è necessario che la sua presenza sia decentrata, strappata da se stessa nel continuo rinvio all’alterità di un “là” che finisce in tal modo per configurarsi come il luogo magico del compimento di ogni desiderio.
Se dunque da un certo punto di vista il presente è sempre il tempo del consumo/godimento, da un altro punto di vista esso, proprio perché relativo a un soggetto abitato da un desiderio che non è semplice ricerca di godimento, inevitabilmente si strappa configurandosi per magia come il tempo dell’attesa: godo nell’attesa di godere, godo nel presente pensando al godimento che mi attende nel futuro. Di conseguenza il soggetto è “qui”, magari con i suoi amici e i suoi parenti, ma proprio grazie al cellulare o al tablet – che non esita a usare anche in loro presenza – egli riesce in qualche modo a evadere da questa situazione per essere pure “là”, con altri amici e altri parenti: quindi in verità non è mai davvero “presente” poiché è anche sempre “assente”. Sono dunque qui ma al tempo stesso sono anche altrove, nel sogno di essere là; ecco dunque la realtà più profonda del tempo reale reso possibile dai nuovi strumenti digitali, realtà che pertanto non è mai quella di un’autentica presenza, ma semmai quella di un insistente rinvio che finisce per trasformare, estrema astuzia della psiche umana, ogni presente nella vigilia di un altro presente, il solo che il soggetto non smette di sognare. Tale “vigiliazione” del presente (quest’ultimo diventa sopportabile solo in quanto vigilia di qualcos’altro: universalizzazione del leopardiano Sabato del villaggio), riesce così a realizzare il magico delirio dell’essere contemporaneamente qui e là; magia e delirio che tuttavia sempre si accompagnano con una sorta di autoconsumazione interna del tempo stesso. Questo tempo “reale”, la presenza di questo presente, è dunque “irreale” per essenza.
L’uomo della rete sembra pertanto incarnare alla perfezione quello che Maurice Blanchot chiama “l’uomo quotidiano”, “l’uomo della strada”: «L’uomo della strada è fondamentalmente irresponsabile: ha sempre visto tutto ma non è testimone di nulla; sa tutto ma non può risponderne, non per viltà ma per leggerezza: non è veramente presente [...]. E così egli è indifferente e curioso, indaffarato e ozioso, instabile e immobile» (L’infinito intrattenimento, Einaudi, 1977).
Il tempo dell’uomo non è (solo) il presente ma la storia, e quest’ultima non è nulla al di fuori dell’intreccio drammatico (fatto di scelte, incertezze, errori, eccetera) che lega il presente al passato e al futuro; addirittura, come insegnano ad esempio i miti e in fondo ogni religione, a un passato che non è mai stato presente e a un avvenire al di là del futuro. Forse life is now, ma certamente l’uomo non lo è mai.
di Silvano Petrosino