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Quando il cielo non era vuoto e la fede era il motore della storia

​Giovanni Gazzaneo

Era una notte buia e tempestosa, una notte dell’umanità da dimenticare, un incubo di cui liberarsi: ancora oggi c’è chi bolla il Medioevo come un tempo oscuro di superstizioni e di violenza. Un intermezzo tra due epoche auree: l’antichità classica - la Grecia maestra di bellezza e di pensiero, Roma, maestra di diritto e dominatrice del mondo - e il Rinascimento, aurora promettente della modernità. Non è solo, o principalmente, l’ignoranza a motivare giudizi retrivi e infondati per i mille anni che vanno dal V al XV secolo. Più forte dell’ignoranza è l’odio. L’odio nei confronti di quel che ha alimentato il cuore pulsante del Medioevo: dare Gloria a Dio. L’odio verso quella fede cristiana che si è manifestata come il grande motore della storia e che ha saputo generare un passato che non è mai passato e una bellezza senza tempo, perché intessuti con l’Eterno.
Sì, l’Eterno era l’orizzonte e la meta. Emil Cioran affermava nel 1937: «Il Medioevo, avendo esaurito il contenuto del­l’eternità, ci dà il diritto di amare le cose transitorie». E invece siamo noi che non sappiamo amare le cose transitorie: perché avendo dichiarato la morte di Dio fino alla nausea, abbiamo eretto le cose a idoli e il consumo a nuova liturgia universale. Negare l’Eterno non ci rende liberi, ma schiavi di un presente che nel suo affermarsi eternizza se stesso come unica dimensione e fa del transitorio un assoluto e insieme lo vanifica nell’inconsistenza e nelle aberrazioni di un mondo fluido. No: la vita, come ben sapevano nel Medioevo, non si consuma nella storia. Ma come può accadere questo?
Alla domanda «Che cos’è Dio?» san Bernardo rispondeva: «È lunghezza, larghezza, altezza, profondità». In ciò che è misurabile, nel limite che noi siamo e nel limite di ciò che ci circonda, irrompe il mistero dell’infinitamente Altro. In questa passione per l’Eterno si giocano le più grandi imprese del Medioevo, dalle straordinarie miniature dei codici alle chiese romaniche, dai grandi cicli di affreschi e di vetrate ai preziosi arredi liturgici, dai portali ricchi di simboli alle pievi madri vegliarde dell’itala gente, come cantava Giosuè Carducci. Quel tempo senza tempo ha costellato di cattedrali l’Europa: nei secoli cuore  delle nostre città. Fabbricerie che nascevano nella coscienza che l’opera finita avrebbe aperto le porte solo alle generazioni a venire: guardavano lontano nel segno del dono e avevano il coraggio del futuro. Al contrario l’odio verso il Medioevo si afferma nel segno della distruzione e della morte. Un odio che ha toccato il suo apice con la Rivoluzione francese. La sua lotta per la liberazione dalle “superstizioni” cristiane a vantaggio della neopagana dea Ragione, oltre alla persecuzione di fedeli, sacerdoti e religiosi, con decine di migliaia di morti, portò alla chiusura, confisca e alla distruzione sistematica di chiese e monasteri. A partire dai grandi simboli della cristianità: l’abbazia di Cluny, la cui chiesa era stata la più grande fino al XVI secolo, quando a Roma venne eretta l’attuale basilica di San Pietro. Nel 1789 i rivoluzionari la confiscarono e tutto quel che si poteva depredare fu depredato e quel che non si poteva rubare fu distrutto. Così Cluny, che era definita “la seconda Roma”, fu ridotta a cava di pietra e i “figli dei Lumi”, oscurantisti quanto mai, in vent’anni distrussero nove secoli di storia. Ma c’è qualcosa che i giacobini non riescono a cancellare: la memoria dei cluniacensi, i “cavalieri del Cielo”, con la loro splendida liturgia e l’intensa vita di preghiera.
Il Medioevo è stato tante cose, ma soprattutto è stata la radice più feconda su cui l’Europa è germogliata con la sua arte, le sue università, i Comuni e un mondo in perenne movimento. Nel Medioevo scopriamo noi stessi e insieme un altrove rispetto a noi. Lievito e sostanza per ogni età del mondo, ci ha donato innumerevoli tesori. Grazie ai maestri dei maestri Giotto, Duccio, Dante... E ai santi che continuano a illuminarci con la vita e il pensiero, da Benedetto a Francesco a Tommaso d’Aquino. Ci ha lasciato un territorio profondamente sacralizzato: si stima che in Italia vi fosse una chiesa, o una cappella, ogni cento abitanti.
 No, non era una notte buia e tempestosa. Erano giorni di grande splendore e le stelle illuminavano le notti all’invocazione di quella miriade di novelli Magi che altro non desideravano che adorare il Figlio del­­l’Altissimo, venuto per loro e per noi.