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Per un’etica della concretezza

​La categoria di umanesimo, non c’è dubbio su questo, è diventata ambigua. L’ideale umanistico si presenta alla discussione dopo aver accumulato elementi di critica radicale, che fanno pensare persino all’ipotesi di un suo tramonto, insieme con quello delle grandi ideologie europee.
La discussione critica sulla storia delle idee che hanno variamente identificato l’umanesimo come una specifica ideologia, rimane nondimeno aperta. La filosofia dell’umanesimo illuministico ha trasformato la politica, impegnandola ad adeguarsi nei confronti di una nuova evidenza della dignità individuale e della connessa libertà del pensiero. Tra le sue pieghe cresce ormai anche l’individualismo etico e la perdita del legame sociale. La svolta antropocentrica della cultura ha imposto la lettura dell’esperienza di senso come produzione di costrutti simbolici funzionali all’espressione e alla realizzazione di sé. Nella contemporaneità, però, la saldatura fra l’autorealizzazione del sé, come obiettivo supremo, e il superamento di ogni limite, come prova della libertà, lambisce gli esiti di una totale anestesia dei legami d’amore e d’onore. Nietzsche aveva suonato la fanfara del Super-Uomo che non deve chiedere mai, eroe di una libertà senza limiti. Ma l’euforia dell’oltre-umano coltiva oggi risentimento per gli impacci dello spirito e della cultura: e cerca i suoi modelli nell’animale e nella macchina, più facilmente manipolabili.
Il ministero ecclesiale contemporaneo appare intenzionato a fronteggiare questa ambiguità. E, pertanto, seriamente determinato a incoraggiare, in primo luogo presso i credenti, l’esplicitazione dell’autentica qualità umanistica della fede cristiana. La fede evangelica sembra verosimilmente chiamata – dai segni di Dio e dall’ora storica – a essere presidio insostituibile per l’umano che è comune: quello di cui le filosofie critiche non si occupano più. Le declinazioni dell’homo eroticus, dell’homo faber, dell’homo ludens e consumens, pongono ormai problemi al livello basico dell’esistenza umana.
L’incoraggiamento alla ricerca di un “nuovo umanesimo” in Gesù mette nondimeno a fuoco il profilo di un ethos culturale dell’evangelizzazione propositivo, non polemico. E proprio perciò, non difensivo e non pavido. L’assegnazione di un orizzonte così ambizioso e di un così vasto programma viene dalla consapevolezza che esso è in primo luogo un obiettivo per il quale gli stessi credenti non hanno ancora approntato strumenti e sensibilità adeguati. L’evidenza pubblica della qualità della conversione richiesta dalla fede proclamata da Gesù si fa strada anzitutto nell’icona della compassione di Dio per l’uomo: “tutto l’uomo, ogni uomo”. La politica e la religione che contraddicono questa compassione cadono insieme sotto il giudizio evangelico. Non possiamo certo ignorare la potenza di una deriva della storia che mostra un soprassalto nell’interdizione di questa testimonianza. È forse un caso che, proprio ora, proprio il cristianesimo – che ha riconquistato questa saldezza della religione pura e senza macchia – si trovi nel fuoco incrociato delle politiche secolarizzate e dei fondamentalismi religiosi?
Il campo è il mondo e il seme è il vangelo della conversione dalla involuzione narcisistica e dalla competizione distruttiva che devastano l’ethos civile e religioso nel nostro tempo. Dio ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio unigenito. La prima e l’ultima parola dell’umanesimo di Dio è anche la prima e l’ultima Parola di Dio.

di Pierangelo Sequeri

preside della Facoltà teologica dell'Italia settentrionale