Ogni nascere è cruciale, vita non vive senza accoglienza
Mariapia Veladiano
C’è una retorica del nascere che non fa bene alla sua trasparente verità. Ce lo ricorda il Vangelo, la narrazione senza enfasi e magniloquenza che racconta la nascita più sorprendente e insieme la più simile a quella di tanti bambini nelle parti più difficili del mondo.
L’evento che muove nella notte i pastori e i re, fa cantare agli angeli la grande gioia che cambia la storia, incrocia nello stesso momento i pericoli più comuni, diffusi, nel tempo onnipresenti: la povertà e la violenza. Gesù nasce e altri bambini muoiono, strage degli innocenti. Come oggi. Per la fame e per la guerra. Il Bambino non toglie magicamente il male, ma apre il cuore delle persone a percorsi d’amore.
La nascita chiede accoglienza altrimenti il bambino muore, proprio muore. Maria e Giuseppe alla fine l’hanno trovata l’accoglienza. Minima, una stalla, una mangiatoia, delle fasce, ma l’hanno trovata e così Gesù è nato e la sua nascita ha tagliato in due il tempo, e nello stesso momento ha costruito il ponte fra il prima e il dopo. Il Bambino è stato il ponte. Ogni bambino è il ponte. Il prima è diverso dal dopo ma non scompare, il nuovo che viene non lo stacca da sé sdegnosamente. Niente va perduto, niente niente. Il Bambino tiene insieme il mondo. La nascita è questo immenso reciproco tenersi fra chi era, chi c’è e chi viene. Nella nostra vita ogni nascita è cruciale, da crux. Non (ancora) la Croce della Passione, ma la croce che un tempo veniva posta al bivio per indicare la strada al viaggiatore. La nascita ci mostra la strada nel punto esatto in cui il desiderio di vita e la paura del male e del dolore si incontrano, e ogni bambino che nasce tiene saldi i capi di questa verità: la gioia di una pienezza che arriva e il timore per la vita che verrà. C’è il pianto, che però è salute, gioia in chi lo ascolta. C’è la felicità assoluta per la vita che viene e insieme lo struggimento, un punto profondo, dentro, una spina, che sarà di lui, di lei? Avremo la saggezza sufficiente per creare un mondo buono, abbastanza buono?
C’è un momento, quando la bambina, il bambino, accolto da mani esperte, asciugato, avvolto, come Maria fece con Gesù, nel morbido dei piccoli panni preparati, consolato il pianto, si abbandona in braccio al papà, o appoggiato alla pancia stremata della mamma, la guancia schiacciata, tenera contro il braccio, abituato a fluttuare e non ancora adattato a resistere all’aria, alla gravità, e dorme, per ore e giorni, con piccoli intervalli in cui c’è chi lo nutrirà, cambierà, laverà. Quel senso di completo abbandono è solo di chi nasce e per vivere deve dirci “mi fido, io so che tu ci sei e mi lascio portare, non mi farai del male, mi custodirai”. Lo desideriamo tutti, essere avvolti di fiducia e avvolgere di fiducia. Essere amati e amare. A questa capacità di amore si è affidata l’Incarnazione. Sia pure confusa, pressata dal desiderio di possedere, di manipolare, di avere avere avere, l’umanità ha saputo far vivere Gesù, i tre in fuga da Erode hanno trovato più persone generose che egoiste, più accoglienza che disprezzo. La fiducia ci ha dato il Bambino e ogni bambino col suo essere bisognoso di tutto ci porta nel cerchio buono di ogni fiducia.
Chi è questo Bambino arrivato in modo impensato? Per chi crede è Dio che si abbandona – eccola ancora la parola – alla nostra cura, si affida e così nella nostra vita noi incontriamo il divino.
Ogni nascita ci supera. Possiamo desiderare il bambino, ma lui arriva oppure no. A volte arriva non desiderato. O forse solo non consapevolmente desiderato. E comunque, sempre, il nostro desiderio dovrà lasciar posto al suo essere nuovo. Chi sarà? Cosa farà? Poi il nostro cuore ha profondità che contengono così tanti sentimenti: paura, desiderio, slancio, commozione. Amore. Nell’accudire d’amore c’è l’invisibile espandersi segreto della vita, e non si sa come sarà, non tutto dipende da noi. Ma il Bambino c’è. E anche noi ci siamo. Forti come non sapevamo di essere, coraggiosi in una misura che davvero ci sorprende. Abitati da una gioia che sempre ci precede.