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Memoria e speranza senza l’una non c’è l’altra

​Guido Oldani

Oggi la parola speranza fa paura, sembra inquietare il nostro vocabolario, allora la sostituisce con il termine ottimismo. Questo oscilla tra le bocche televisive ben pitturate nei nostri spettacoli e la declamazione rancida e corvina dei multidecennali pseudostorici o commentatori, mai estirpabili dal loro borbottio grossolanamente remunerato. Abolita la cultura e con le memorie ridotte a quella dello smemorato di Collegno, figuriamoci se c’è posto per una parola impegnativa come la speranza. Noi però, che qualche segnalibro nel passato lo conserviamo, non dimentichiamo, ad esempio, che “la speranza è l’ultima a morire”. L’ottimismo invece è soltanto una smorfia, come la memoria ormai relegata all’attimo che intercorre tra qualcosa che ci entra dall’orecchio destro per subito andarsene da quello sinistro. Tutto viene sostituito, si cambiano il cellulare, il televisore, il decoder, le tapparelle, il tetto e il tatto. La memoria deve durare quanto una barzelletta. Invece noi l’abbiamo lunga qualche migliaio di anni, secolo per secolo, alla faccia delle regole del breve.
Ma che cos’è la speranza, che qui tiriamo in ballo tra le righe? Ricordo il vagone di Clemente Rebora fermo su un binario morto. Il testo poetico è abbastanza breve. Il vagone è massiccio, chiuso, vuoto o ricolmo, magari mal verniciato e persino arrugginito. Quello che credo non compaia nel testo, sintetico e percussivo, è cosa farà questo vagone rispetto agli altri del treno merci, alla locomotiva, agli scambi, in una parola, al futuro. Ebbene, il vagone non è una palla da biliardo, levigato e chiuso su se stesso, esso invece ha un davanti e un dietro, che possono anche invertirsi ma che si propongono a un “ulteriore”. Sì, il vagone infatti, sui due estremi ha una parte che sembra secondaria ma che determina il futuro. Vi è, palesemente, un gancio. Poca roba rispetto al bestione che il carro è. Eppure, eccoci: è lì che come in una catena, il vagone si fa treno e dunque viaggio e perciò destino. È come se una gru fosse priva della possibilità di agganciare ciò che porterà invece nel sollevamento.
Credo sia pressappoco così la speranza. Essa è una possibilità concreta di futuro ma anche, in particolare, di quel futuro specifico che fa parte del nostro pensare, non sempre necessariamente in piccolo. Amo guardare i treni in corsa. È uno spettacolo che piace ai bambini fino ai cento anni. Credo che il bello stia proprio nel fatto che se non vi fossero tutti quei ganci, la locomotiva passerebbe da sola, mutilata e fischiante il suo lamento di solitudine e la sua mancanza di perché. In fondo, il fatto che le reti ferroviarie si snodino dalla Siberia fino alla Terra del Fuoco, da dove sorge il sole fino a dove si tuffa nel catrame della notte, è per rappresentarci una esercitazione concretissima sull’esistere e il che cosa può essere la speranza. Per questo si può issare qualunque ghigliottina sulle piazze per decapitare la storia e le storie, la memoria e le memorie, la cultura dalle culture precedenti. Le ghigliottine sono spettacolari, tagliano te­ste su teste: quelle rimanenti potranno sottrarre il denaro a quelle decedute ma non l’intelligenza e soprattutto la millenarietà della memoria, che è l’unico trampolino di lancio per le memorie dispiegate nel futuro.
La speranza dunque c’è: oggi si tende a massacrarla o metterla sottochiave, dandola come mai esistita. Invece, è come utilizzare il colapasta per contenere l’acqua di cottura della pastasciutta. Tutti quegli spaghetti d’acqua si disfano facilmente e si dimenticano. Ma c’è chi, narratore di segreti, questi spaghetti sfuggenti li sa recuperare, annodandoli per farne una felice matassa. Essa è monumentale, enorme, grande come un pianeta e più di un sole. Tutto ciò può essere scambiato per un’alta marea, uno tsunami, o per una cancellazione di qualche continente. Il narratore però sa bene che questo non è altro che un filo d’Arianna della speranza, quel­la stessa virtù che a molti può ingenerare persino angoscia e terrore. Ma, se ben domiciliata, la speranza sventola co­me una virtuosa compagna di strada che, anche quando di strade non ce ne fossero, asfalta ogni paura e soprattutto sa qua­le percorso consigliare.