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Lo spirito degli anniversari è uno sguardo sul presente

​José Tolentino de Mendonça

Narra Esiodo nella Teogonia che le Muse furono generate dall’unione di Zeus e della titanessa Mnemosyne (“memoria”). Esse stesse erano con­­siderate protettrici della memoria, perché le arti e le scienze, di cui erano fautrici, si fondano sulla memoria.
I centenari e le ricorrenze in genere possono essere utili come supporti della memoria per riportarci autori che abbiamo letto in passato o protagonisti della storia culturale studiati sui banchi di scuola o all’università. È un’occasione per riconsiderarli alla luce delle ermeneutiche successive e per interrogarli con nuove domande che si sono affacciate. Penso, per esempio, a quello che Walter Benjamin scrive sull’«ora di leggibilità» di un’opera o di un autore, che non coincide esclusivamente con il momento storico di origine. L’intimo, contraddittorio e fascinoso movimento di tante opere artistiche del passato è oggi soltanto il riflesso di un sole estinto, oppure, al contrario, la sua luce può cominciare adesso a essere intravista, e con altra limpidezza storica e spirituale?
Il 2023 è particolarmente ricco di anniversari, come documenta questa monografia di “Luoghi dell’Infinito”. Non potendo prenderli in considerazione tutti, ci soffermeremo sui cinquecento anni dalla morte di Pietro di Giovanni (Vanni, Vannuccio) da Perugia detto Pietro Perugino (1446-1523) e di Luca Signorelli da Cortona (1441-1523). Come tutti sanno, si tratta di due grandi maestri dell’arte pittorica, in quella splendida stagione che è il Rinascimento italiano. La loro vicenda ha molti tratti comuni. Entrambi nati in centri secondari (Città della Pieve l’uno e Cortona l’altro), a un dato momento del loro percorso professionale hanno sentito il bisogno di riferirsi a Firenze, come a un centro nevralgico di elaborazione culturale, ed entrambi, al culmine della fama, sono stati ingaggiati per realizzare alcune delle Storie di Mosè e Storie di Cristo (fra queste, la più celebre è La consegna delle chiavi a Pietro del Perugino) nella fascia intermedia della Cappella Sistina, fatte eseguire per volontà di papa Sisto IV nei primi anni ’80 del Quattrocento.
Rileggendo le biografie che riserva loro Giorgio Vasari nelle sue Vite si nota l’attenzione che questo antesignano degli storici dell’arte riserva, sebbene solo per cenni, alle circostanze e ai contesti in cui le opere degli artisti furono eseguite. In altre parole, non si elencano solo le opere con i soggetti, non c’è eccessiva preoccupazione cronologica, né si insiste troppo nel tracciare parallelismi stilistici con altri pittori (cose tutte di cui si occupa la storiografia attuale). Sono invece evidenziati i committenti e la destinazione delle opere stesse, per lo più sacre, che quando Vasari scriveva e fino alla fine del Settecento si potevano ancora ammirare nelle chiese o nei conventi per cui erano state pensate, e non in musei, dove siamo abituati a vederle oggi.
Dietro rapidi accenni si cela un mondo fatto di vescovi o di parrocchie, di religiose e religiosi o di confraternite che commissionano una pala con destinazione liturgica da collocare sull’altare di una chiesa o una tavola destinata alla devozione pubblica e privata, con un forte monito alla coerenza della vita cristiana che scaturisce dal culto.
Oggi la storia dell’arte si è notevolmente articolata, rispetto al metodo storico critico e filologico di stampo ottocentesco, che continua a essere applicato nei benemeriti cataloghi sempre più voluminosi dell’opera completa dei singoli artisti, che indagano ogni aspetto della vicenda biografica e artistica. Per suggerire visioni trasversali, nel Novecento sono state praticate letture sociologiche (Hauser); si è imposto il metodo iconografico e iconologico (Panofsky) che presta grande attenzione anche ai soggetti religiosi e ai loro legami con i testi spirituali; si sono offerti anche criteri di comprensione della valenza liturgica e devozionale delle immagini sacre e del “potere” da esse esercitato nei rispettivi contesti sociali (Belting, Freedberg). Potrebbe essere interessante compiere anche una lettura diacronica complessiva della storia dell’arte cristiana sotto il profilo della “storia della pietà”, che parta in qualche modo dalla lezione di don Giuseppe De Luca (1898-1962, di cui nel 2022 si sono ricordati i sessant’anni dalla morte, tanto per stare in tema di ricorrenze). Don De Luca si interessava soprattutto di testi letterari, anche se ospitava volentieri nel suo “Archivio italiano per la storia della pietà” saggi di storia dell’arte, che servissero al suo scopo di «portare la storia della Chiesa da storia ecclesiastica a storia del popolo cristiano». Si potrebbe così partire dai centenari, che richiamano l’attenzione sui grandi artisti del passato, per ricostruire una storia che mostri come il popolo di Dio, in tutte le sue componenti, commissionando opere d’arte in tutte le sue forme, abbia espresso la propria fede e il proprio amore verso Dio e i fratelli producendo cultura. Sarebbe questo un grande e utile esercizio di memoria, che aiuti la Chiesa a essere presente anche nel contesto culturale contemporaneo.
Un’ultima parola, su Cristina Campo. Anche lei è stata chiaramente il frutto di una certa Firenze, che in quegli anni ’50 del Novecento era una trincea per la vita dello spirito, con la sua aristocrazia morale e il suo cattolicesimo socialmente engagé. Cristina Campo ha offerto la propria vita per mostrare che la poesia può essere un’operazione fondamentalmente contemplativa e un modo di far scendere lo spirito sulla terra.