Le isole del mare sacro
La grande onda si eleva maestosa nel cielo abbracciando nella sua spirale una barca; sullo sfondo, calmo e innevato, si erge il Monte Fuji. È la scena del capolavoro di Katsushika Hokusai, l’immagine della scuola ukiyo-e più nota nel mondo. Ukiyo-e significa “scene del mondo fluttuante”, ossia di questo mondo passeggero, precario, futile, bello. La barca nella spirale della grande onda evoca la condizione del samsara, il cuore instabile in balia dei mutamenti. Sullo sfondo la sacra montagna dice il risveglio del satori, il cuore puro libero dalle passioni. Il sutra Hannya – sutra del cuore – recita così: «Il samsara, questo è il satori. Il satori, questo è il samsara». La pittura ukiyo-e è contemplazione estatica del fluire di satori e samsara in ciò che accade. La grande onda minaccia l’imbarcazione ma pure la protegge. Fluidità di attaccamento e di distacco nel rapporto dell’uomo comune con le cose, e la lieve bellezza di quel fluire.
Nato sulle colline piacentine e cresciuto nella pianura parmense, ignoravo l’anima potente del mare quando come missionario fui inviato in una piccola isola giapponese nel Pacifico. La missione sorgeva su un promontorio: tra il mare e la mia vita solo 50 metri. I primi giorni furono duri: le onde, che incessantemente si rifrangevano contro gli scogli, mi irritavano. Un anziano della missione s’accorse del disagio e mi diede un consiglio. Lo fece con la fluidità delle parole di riguardo con cui i cristiani giapponesi si rivolgono al sacerdote, e che io qui ridico in modo ruvido all’italiana. «Prima di riposare sta’ in piedi sul promontorio faccia a faccia con il mare e respira all’unisono con il flusso delle sue onde. Sempre più intensamente, finché sei stanco morto. Poi, dormi!». Alcuni mesi dopo, in trasferta in una missione lontana dal mare, m’accorsi che il concerto delle onde mi mancava.
Se nell’immensa Cina il legame dell’uomo con l’infinito si è configurato come il rapporto con il cielo che sovrasta la terra, nell’arcipelago del Sol Levante il rapporto più pregno di infinito è nel legame con il mare. Le coste giapponesi sono punteggiate di templi shintoisti di colore vermiglio. Il tempio Itsukushima con il suo torii – il portale – che sorge in alto mare nella baia di Hiroshima, di fronte all’isola di Miyajima, è stato dichiarato patrimonio dell’umanità.
L’architetto Tadao Ando ha progettato la Mizu no Kyokai – la chiesa dell’acqua – di Tomamu, Hokkaido. Gli elementi che compongono l’edificio sacro sono l’acqua quale grembo materno, il cemento grezzo dei muri che dice il nudo e gracile ex-stare dell’esistenza umana, il gioco di luce e tenebra che danza il rapporto fra la grazia e il peccato. L’edificio si riflette nell’acqua. Qual è la vera chiesa? Quella di cemento? Oppure il suo riflesso? L’infinito non è un luogo oltre le cose finite! Ma è il non luogo in tutte le cose! È la qualità fluida dell’universo. L’amore, fluendo, diviene perdono.
Termino con un tanka (poesia beve) di Oshida Shigeto (1922-2003), il frate domenicano che mi ha introdotto nella via dello Zen:
Se c’è la fonte c’è il ruscello,
gorgoglio della corrente!
Grazie!
Grazie!
di Luciano Mazzocchi