La parola, rischio, potere e libertà
Davide Rondoni
La parola è il bene più prezioso della nostra umanità. Intendo la umanità come insieme di persone, mondo, società, ma anche la nostra piccola, individuale, personale umanità. Di quest’ultima infatti, le parole che usiamo, che ci affiorano alle labbra sono segno, e al tempo stesso nutrimento. Così come nutrimento di questa nostra interiore, misteriosa umanità, sono le parole che ascoltiamo, che decidiamo di ascoltare, ignorandone altre. Cosi come decidiamo di prestare attenzione a certi tipi di racconti, ignorandone altri. Da chi e da che cosa ascolti, si capisce chi sei. Vale anche nella lettura dei giornali, delle riviste.
Le parole, la capacità del linguaggio, come vedono da sempre i poeti e oggi anche i neuroscienziati, costituiscono il mistero più grande, il potenziale più complesso, la mappa quasi interamente sconosciuta e abitata da imprendibile libertà. Nella natura del linguaggio e dell’assoluta libertà che lo abita si accenna alla nostra segreta somiglianza con la libertà del Creatore. Tutte le creature infatti si scambiano in qualche modo messaggi, ma solo noi abbiamo la libertà di comporre attraverso la sintassi un significato a nostro piacimento. E dire, ad esempio, “libellulina mia” per indicare con amore una persona. Questa libertà, che nella poesia trova espressione e prova più alta, fa commuovere come dinanzi a una somiglianza con la libertà assoluta di Dio, creatore di libelluline e di canguri, di tonni e della semplicità del garofano.
E oggi poi, a livello sociale, e, vista l’odierna capacità di relazione e interconnessione, a livello mondiale, vediamo come e quanto le parole contano. Oggi alcune delle aziende moloch del nostro sistema capitalistico sono sorte intorno all’uso delle parole (Facebook e tante altre). Questi geniali signori hanno capito che siamo esseri fatti di parole, che se dai uno strumento facile, gli uomini si scambiano un sacco di parole, e non solo immagini. E in questo flusso infinito e impensabile di parole (impensabile fino a poco tempo fa: i nostri nonni ricevevano poche lettere in una vita intera...) si sono modificate non solo le dinamiche della informazione e della formazione di pensieri e opinioni nella polis, ma stanno variando anche tanti elementi della comunicazione umana. Si vanno modificando gli spessori e le estensioni del senso dei termini, si accentua la rapidità delle reazioni verbali, e si modificano le concentrazioni e sintesi del lessico e dei termini. E allo stesso modo si modificano, delle parole, le semplificazioni e complicazioni, nel perenne movimento a mantice di fisarmonica delle lingue umane finché una vita le nutre. Se il Papa usa twitter, se lo usa il presidente degli Stati Uniti per dire la propria idea al mondo senza passare per i media (o meglio usando nuovi media e formati comunicativi), se, insomma, le parole arrivano con potenza diretta e invasiva dalle stanze del potere al nostro braccio, al nostro occhio, la parola dimostra ancora una volta di essere il primo campo della lotta di potere. E questo è ulteriore drammatico segno della sua importanza.
Per poter intervenire sulla realtà, a volte per scaricare su di essa tutta la propria potenza di devastazione, manifesta o occulta, il potere deve comunque passare dalle parole. Il potere deve lavorare prima sulle parole, cambiarne il senso, per cercare di modificare a proprio piacimento la realtà. Per fare due esempi chiari: mai udirete una donna dire: «aspetto un embrione», eppure questa parola viene usata nel momento in cui su quelli che si chiamano “figli” si vuol dar via libera a ogni sperimentazione e mercificazione. Dire o scrivere: «suvvia, prendiamoci la libertà di congelare, mercificare figli» farebbe troppo effetto, dunque meglio sostituire il termine con uno più asettico. Così come se a un nome proprio, Joseph, si sostituisce una categoria generica, gli ebrei, si può convogliare più facilmente il risentimento sociale, ieri e oggi.
Per queste ragioni le parole sono un bene delicatissimo. E la poesia, arte della parola, si incarica, nei suoi più pregevoli autori, di onorarne la natura rischiosa. Un rischio pari a quello che corre chi dedica la vita alla libera ricerca del vero nel segno dello stupore.