La danza degli inganni dalle ideologie ai media
Sergio Givone
C’è storia e storia. C’è la storia individuale, la storia di ciascuno di noi, e c’è la storia universale. Piccola storia, la prima, grande storia, la seconda. Talmente piccola e insignificante, la storia individuale, che neanche osiamo chiamarla storia, e talmente grande e significativa, la storia universale, che siamo tentati di scriverla con la maiuscola, la Storia. Eppure la piccola storia individuale è tutto, perché è la vita, e la vita è la sola realtà che esiste veramente e di cui si ha coscienza. Viceversa la grande storia universale non è niente, perché è lo sfondo fantasmatico ed evanescente di ciò che accade nel teatro del mondo ma sopra la nostra testa.
Che storia è la Storia? È quella che si studia a scuola, quella che si immagina stia alla base della propria comunità, quella che permea più o meno surrettiziamente valori e prospettive di una nazione. È la storia monumentale e ideologica. È la storia in cui un popolo storico è chiamato a riconoscersi, ma soprattutto è la storia attraverso cui il potere celebra se stesso. Cosa, questa, che avviene consegnando alla memoria delle generazioni future un’immagine di sé trasfigurata e sublimata. Si tratta di una memoria costruita, di una rappresentazione del presente che vorrebbe portare a credere quello che non è. Questo spiega tra l’altro perché un’aria triste e funerea spiri nelle testimonianze create ad hoc da parte del potere, qualsiasi potere. Vedi ad esempio i filmati di regime: inneggiano tutti alla vita, ma tutti immancabilmente evocano la morte.
L’ideologia è falsità, è menzogna. In quanto manipolazione della memoria, l’ideologia apre buchi nel tessuto della storia, cancellando tracce e facendo sparire volti e presenze reali. È perfino capace di riempire quei buchi con dei fantasmi. Ma se le cose stanno così, quale memoria possiamo considerare autentica e non fasulla? Oggi lo spirito del tempo si manifesta in modo nuovo. Non ricorre più ai monumenti, che infatti vanno scomparendo. E neppure alle ideologie, che appartengono al passato. Ci sono i media. C’è la televisione. E c’è la rete. Tutti questi mezzi pretendono di farci leggere criticamente la realtà, ma di fatto ci intrappolano: nella rete, per l’appunto.
I media illudono e ingannano anche più di quanto facessero un tempo le ricostruzioni ideologiche della Storia. La sola speranza è che la verità si sia rifugiata altrove. Quando le parole, troppe e inutili, diventano indistinto rumore di fondo, allora le cose, da mute che erano, si fanno eloquenti. Quali cose? Le povere cose della quotidianità, le misere cose a cui la vita si aggrappa quando è minacciata di annientamento, avvolgendole in una specie di aura. Di colpo la memoria ritrova tutta la sua dignità. La sua sacralità. Ciò che gli strumenti della comunicazione non possono, lo può il cuore. È accaduto che milioni di persone, in nome della Storia, siano state private della loro storia: e mandate a morire nei campi di sterminio, in guerra, ovunque. E condannate pure all’oblio. Spinte brutalmente nel nulla. Ma evidentemente il nulla è più generoso della umana, troppo umana, volontà di annientamento. È bastato che dal nulla emergesse qualcosa, anche la cosa più banale - un paio di occhiali rotti, una fede matrimoniale, una lettera - ed ecco, di colpo quella cosa ha incominciato a raccontare una storia, un destino condiviso, una vicenda carica di tutto il dolore del mondo.
Naturalmente è stato necessario riportare la storia alla Storia e inscrivere il tutto nel niente, perché la storia di una persona è tutto, la Storia universale è niente. La storia di una persona, ogni persona, è interamente immersa nella Storia e completamente determinata dalla Storia. Che è come dire: la sostanza del tutto è il niente! Per rendersene conto basta pensare alla storia della propria famiglia. Non c’è storia individuale - la storia di un bisnonno, un nonno, uno zio… - che non sia stata travolta o radicalmente segnata dalla Storia. Eppure quel che ne rimane, anche solo un frammento minimo, è una testimonianza più veritiera che non quella lasciata da ideologie ormai tramontate o da monumenti abbandonati a se stessi. Se così non fosse, non si spiegherebbe un fenomeno che è sotto gli occhi di tutti: il proliferare nel mondo di memoriali o luoghi della memoria che aiutino a ricordare quanto si volle cancellare per sempre.