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Il venerdì santo della storia in Terra Santa e per ogni uomo

​Francesco Ielpo


Un punto sul mappamondo da sempre è al centro della storia, una terra che da sempre è protagonista delle vicende geopolitiche e religiose del pianeta, un angolo di mondo che non ha mai visto pace e tranquillità ma che, anzi, è da sempre in tensione e in perenne conflitto.
È la Terra Santa, e in particolare la città santa di Gerusalemme, cuore religioso delle tre grandi religioni monoteiste e crocevia da millenni di culture e popoli. Qualcuno ha persino affermato che quando ci sarà pace a Gerusalemme allora, e solo allora, ci sarà pace in tutto il mondo.
Franco Cardini, nel suo libro Gerusalemme. Una storia, afferma – in maniera geniale – che «questa non è una città: questa è la vita di ciascuno di noi, che a volte c’illude e a volte ci fa disperare, a volte ci sembra irreale, a volte inutile. La nostra avventura interiore, il nostro eterno viaggio, la nostra vera crociata, è la conquista di un senso da dare alla vita».
La storia di quella terra rappresenta la storia personale di ogni uomo; quei luoghi così santi, così sacri, così carichi di bene, eppure così martoriati, segnati dall’ingiustizia e dal male, descrivono la vita di ogni essere umano con il suo anelito al bene e alla felicità, eppure segnato dalla fatica e dal dolore.
Spesso nelle mie visite ai confratelli che vivono e operano in Siria, guardando alle sofferenze e ai dolori della popolazione e, in particolare, ai cristiani, mi sembra di vedere nella loro carne il perpetuarsi nel tempo del venerdì santo di Gesù. La mente corre a Gerusalemme lungo la Via Dolorosa, all’ottava stazione dove si trova un’antica pietra su cui sono incise una croce e la scritta, in greco, «Gesù vincitore». Come si può affermare la vittoria di un uomo condannato ingiustamente, percosso, flagellato, deriso, umiliato, abbandonato e sfinito, con la croce sulle spalle? Il dolore e la morte, soprattutto dell’innocente, gridano alla nostra coscienza, domandano un senso, una ragione.
Nel film La Passione di Cristo, il regista e autore Mel Gibson, mette sulle labbra di Gesù – dopo l’ennesima caduta sotto il peso della croce e dopo che Maria, finalmente, raggiunge il figlio – una frase del libro dell’Apocalisse: «Vedi, donna, faccio nuove tutte le cose». Gesù, nella Via Crucis, è vincitore non perché sconfigge i nemici, allontana la fatica e il dolore, ma perché fa «nuovi» il dolore e la morte.
Da questo punto di vista è interessante guardare l’esperienza di Francesco d’Assisi. Sul monte della Verna, che possiamo definire il “Golgota francescano”, nei giorni precedenti alla festa dell’esaltazione della Santa Croce, due anni prima della morte, san Francesco così pregava: «O Signore mio Gesù Cristo, due grazie ti priego che tu mi faccia, innanzi che io muoia: la prima, che in vita mia io senta nell’anima e nel corpo mio, quanto è possibile, quel dolore che tu, dolce Gesù, sostenesti nell’ora della tua acerbissima passione; la seconda si è ch’io senta nel cuore mio, quanto è possibile, quello eccessivo amore del quale tu, Figliuolo di Dio, eri acceso a sostenere volentieri tanta passione per noi peccatori» (Fioretti di san Francesco).
Il Poverello d’Assisi chiede di sperimentare, di provare nell’anima, nel corpo e nel cuore il dolore e l’amore che furono di Cristo Gesù nella sua passione. Le stigmate che dopo qualche giorno furono impresse nel suo corpo sono la concreta possibilità dell’esperienza di totale immedesimazione con la passione di Gesù, nella condivisione, contemporaneamente, del suo dolore e del suo amore.
Può esistere un amore vero che non preveda anche il sacrificio? La croce è innanzitutto un luogo di rivelazione: ci dice chi è Dio e, quindi, chi è l’uomo. Passione e risurrezione, croce e gloria, via dolorosa e vittoria, sono due facce del mistero di Cristo. Nel Vangelo di Marco la crocifissione dice già della gloria vittoriosa del Cristo. L’apice di tutto il Vangelo, infatti, è nel riconoscimento del centurione che, nel vederlo morire così, afferma: «Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!». Il Cristo risorto ha sempre il volto del dono totale e gratuito di sé, come il Cristo crocifisso.
Forse la Terra Santa e le sue “pietre vive”, attraverso il loro “venerdì santo” ci testimoniano tutto questo.