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Il perdono e la speranza, la gioia di essere figli

​Giovanni Gazzaneo

Oggi al massimo si chiede scusa. Magari consigliati non dalla propria coscienza ma dal proprio avvocato. «Scusa se ho ammazzato tua figlia». «Scusa se ti ho violentata». «Scusa se ti ho investito mentre ero ubriaco». Posso chiedere scusa se ti dò un pestone, se dico una parola di troppo… Ma quando sono in gioco la vita e la dignità delle persone allora “scusa” non basta più. È una parola inadeguata, banale, suona falsa. Come suoniamo falsi noi quando non comprendiamo la gravità delle nostre azioni, del male che siamo capaci di compiere e che compiamo. Perfettamente in sintonia con la banalità di questo nostro tempo, tutto ma proprio tutto si confonde: il bene e il male, il sapiente e l’idiota, la profondità e la superficie, il vero e il falso, il bello e il brutto… E ci si rassegna all’idiozia dell’uno vale uno, o peggio dell’uno vale l’altro: certo, siamo uguali davanti a Dio, ma ognuno di noi è unico e irripetibile, con i suoi talenti, i suoi meriti e purtroppo i suoi peccati.
In questo caos siamo chiamati ad andare oltre. A scavare in quel poco che ci rimane di coscienza e poi nella nostra anima, quando ci ricordiamo di averla. E alla persona a cui abbiamo fatto del male dobbiamo chiedere perdono. Non c’è altra parola che possiamo pronunciare.
“Scusa” si lega etimologicamente a colpa, si fissa a quella mancanza, a quel brutto gesto, al male compiuto. Non va oltre. Perdono ha la sua radice nell’indoeuropeo “da”, dono. È una parola che porta in sé un movimento, un cambiamento, una conversione. Di più: un miracolo, perché dal male può nascere un bene, misteriosamente, oltre ogni ragione, oltre noi, il nostro limite, le nostre mancanze. Il perdono è capace di ricomporre le ferite, non come un adesivo che rimette insieme i cocci, e cocci restano. Ma nel segno di una vita rinnovata, di una luce ritrovata. «Sperare equivale a vivere: l’uomo, infatti, vive in quanto spera», diceva il cardinale Carlo Maria Martini. Si invoca il perdono con un cuore pentito, si offre il perdono con la misericordia nel cuore. E solo dal perdono può germogliare la speranza e aprire orizzonti nuovi e inattesi. Ecco perché il Giubileo, e non solo questo Giubileo, può essere definito sempre “Giubileo della Speranza”: chi cerca il perdono, chi si mette in cammino per essere perdonato, chi supplica di essere redento, non solo è liberato dalla colpa, ma riceve in dono la speranza.  Charles Péguy attribuisce al Creatore queste parole: «la fede che più amo, dice Dio, è la speranza. Ciò che mi sorprende è la speranza. E non so darmene ragione. Questa piccola speranza che sembra una cosina da nulla. Questa speranza bambina, immortale», perché «la speranza vede ciò che ancora non è e che sarà. Lei ama ciò che ancora non è e che sarà. Nel futuro del tempo e nell’eternità» (Il portico del mistero della seconda virtù). La speranza per Péguy è come una figlia, e solo chi è figlio, ogni donna e ogni uomo di questa terra, può vivere di speranza, perché all’origine c’è la certezza di essere amati. Roger Scruton, che ora ci guarda dal Cielo, scriveva su “Luoghi del­l’In­fi­nito”: «Ci sono due tipi di speranza. C’è la speranza per una cosa specifica, qualcosa che hai voluto tanto ma potresti non ottenere. E c’è la speranza per nulla in particolare, la speranza “intransitiva” della persona che è in pace con sé stessa e che vede tutto il mondo come un dono. Così puoi abbracciare la speranza: non aspettandoti nulla oltre questa vita. Nel­l’esperienza della bellezza, il mondo viene rivelato come un dono e la persona che spera si affida a questa esperienza perché gli dimostra che quello che ha è già sufficiente» (n. 221, ottobre 2017).
La bellezza è il volto stesso di Dio e nella Creazione quel volto si specchia. La bellezza è insieme l’espressione più alta del­l’umano creare. La speranza è lo sguardo che il Creatore volge alla sua amata creatura, e insieme lo sguardo rivolto al Cielo di ogni uomo e ogni donna che non si rassegna. Il padre Abramo è l’icona di chi non si rassegna. «Paolo - dice papa Francesco - ci aiuta a mettere a fuoco il legame strettissimo tra la fede e la speranza. [...] Abramo “credette, saldo nella speranza contro ogni speranza” (Rm 4,18). La nostra speranza non si regge su ragionamenti, previsioni e rassicurazioni umane; e si manifesta là dove non c’è più speranza, dove non c’è più niente in cui sperare, proprio come avvenne per Abramo, di fronte alla sua morte imminente e alla sterilità della moglie Sara […] Noi siamo convinti che Dio ci vuole bene e che tutto quello che ci ha promesso è disposto a portarlo a compimento? […] C’è un solo prezzo da pagare: “aprire il cuore”. Aprite i vostri cuori e [...] Dio vi porterà avanti, farà cose miracolose e vi insegnerà cosa sia la speranza» (Udienza  del 29 marzo 2017).
Francesco d’Assisi dopo avere ricevuto le Stimmate compone una preghiera che è una visione, un canto grato al Signore per quel che ha visto e vissuto. È il più bell’inno alla speranza e nasce da chi si è fatto tutto con Cristo fino ad abbracciare la croce della redenzione. Francesco si rivolge pieno di gioia a Dio con il tu, come un figlio si rivolge al Padre, e solo due attributi, bellezza e speranza, sono ripetuti: «Tu sei santo, Signore Iddio unico, che fai cose stupende. Tu sei forte. Tu sei grande. Tu sei l’Altissimo. Tu sei il Re onnipotente. Tu sei il Padre santo, Re del cielo e della terra. Tu sei Trino e Uno, Signore Iddio degli dèi. Tu sei il bene, tutto il bene, il sommo bene, Signore Iddio vivo e vero. Tu sei amore, carità. Tu sei sapienza. Tu sei umiltà. Tu sei pazienza. Tu sei bellezza. Tu sei sicurezza. Tu sei la pace. Tu sei gaudio e letizia. Tu sei la nostra speranza. Tu sei giustizia. Tu sei temperanza. Tu sei ogni nostra ricchezza. Tu sei bellezza. Tu sei mitezza. Tu sei il protettore. Tu sei il custode e il difensore nostro. Tu sei fortezza. Tu sei rifugio. Tu sei la nostra speranza. Tu sei la nostra fede. Tu sei la nostra carità. Tu sei tutta la nostra dolcezza. Tu sei la nostra vita eterna, grande e ammirabile Signore, Dio onnipotente, misericordioso Salvatore».
La speranza può nascere solo da un cuore riconciliato, da un cuore che ha perdonato, che ha sanato le ferite. Non c’è speranza nell’orgoglioso, non c’è speranza in chi odia, non c’è speranza in chi dimentica il suo essere figlio. Solo chi ama la vita spera e chi spera ha sete di bellezza. E la bellezza è il volto di Dio perché è il volto dell’amore: questa è la nostra origine, questo è il nostro destino.
Cari lettori, giunga il mio grazie a voi e a tutti coloro che hanno collaborato alla rivista e a chi collaborerà in futuro. Ho ideato “Luoghi del­l’In­fi­nito” e questo è l’ultimo numero che firmo: siate sempre innamorati della bellezza, per questa vita e oltre, nell’Infinito che ci attende.