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Il male è davvero il dolore

​Siobhan Nash-Marshall


Sono stata da poco a un funerale. L’atmosfera in chiesa era piuttosto fredda, come se le tante persone raccolte nei banchi non fossero abituate a trovarsi in un luogo sacro.
Io ero seduta su una panca centrale, ed essendo di umore meditabondo ascoltavo i bisbigli intorno a me. «Poverina – dicevano – era ancora giovane. Almeno non ha sofferto». «Ma cosa dici? – arrivava la risposta – Certo che ha sofferto! Aveva un brutto cancro». «Sì – ribatteva un’altra voce – ma le davano la morfina». Poi, nel silenzio calato dopo la morfina, arrivava puntuale da un altro banco una terza voce: «Almeno non ha sofferto», e la discussione sulla sofferenza ricominciava da capo, mentre aspettavamo l’entrata della famiglia.
Io, meditabonda, mi chiedevo se le chiacchiere stavano divertendo nell’aldilà Mill e Bentham, per non dire Epicuro e Eudosso di Cnido. Dopotutto, è loro la formula che dice che il male non è che il dolore. Sentirla ripetere ad nauseam “giuso intra i mortali” doveva essere cosa gradita almeno a loro. Poi, come mi succede, i miei pensieri hanno percorso le misteriose vie delle idee.
Quando Mill e Bentham ripresero l’antica definizione materialistica del male, riflettevo, non poterono che fare breccia. La formula è facile. Sembra evidente. I mali non sono, forse, dolorosi, e i dolori un male? Non è per questo che le madri italiane chiedono ai loro bambini se si sono “fatti male,” quando vogliono sapere se i loro figli “hanno dolore?” Il male, poi, è spesso cosa fisica. Non per nulla la si può attenuare con i farmaci, proprio come con la morfina. Come cosa fisica sembra, poi, essere cosa superabile. Anzi, sembra essere la cosa che va sconfitta. Ed ecco affiorarmi visioni del principe Albert in battaglia con le fogne londinesi dopo The Great Stink del 1858, e la massima di Mill che propone come misura del progresso umano proprio la sconfitta del male: «Tutte le fonti […] della sofferenza umana sono […] conquistabili dalla cura e dallo sforzo umano». Ma come spesso mi succede mentre percorro le vie delle idee, inciampai: mi accorsi del marcio che ne consegue. Quando durante il suo interrogatorio di Eichmann, Avner Less si rese conto che il nazista non riusciva a cogliere l’ironia di aver ricevuto l’ordine di non far patire agli ebrei che venivano trasportati ai campi di sterminio sofferenze inutili, gli chiese direttamente se non trovava l’ordine un po’ beffardo, dato che gli ebrei erano destinati a una morte sicura. Eichmann, commenta la Arendt, «non rispose neanche alla domanda, tanto era ancorata nella sua mente l’idea che il peccato imperdonabile non era uccidere le persone, ma provocare loro sofferenze inutili».
Sono passati molti anni da quando Eichmann tentò di non provocare sofferenze inutili mentre il Reich “sconfiggeva” le «fonti […] della sofferenza umana». Ma i suoi princìpi vivono forti e vigorosi tra di noi. Li sentivo nei bisbigli che mi circondavano in chiesa: «Ha sofferto?» Li vedo rigogliosi nei Paesi Bassi, dove l’eutanasia – che oggi si considera una morte indolore – è non solo legale, ma anche una scelta imponibile dai genitori ai loro bambini malati, perché questi non soffrano. Li vedo all’opera nell’incredibile proliferazione di pillole e nella vertiginosa espansione del loro uso. Altro che morfina! Oggi abbiamo pillole per la concentrazione, per la depressione, per ogni sfumatura di benessere, per anziani che vogliono sentirsi giovani e rampanti. I giovani, a cui vengono spesso somministrate, rimangono scioccati quando gli si dice che non c’è pillola che faccia riuscire bene in filosofia. «Ma professore, io prendo l’Adderal!»
Certo, mi dicevo seduta sul mio banco, si capisce perché a primo acchito si possa pensare che il male è il dolore. Ma almeno Eichmann avrebbe dovuto far sorgere un dubbio in materia. Come può il male essere il dolore? Ci sono mali indolori – come quello degli eroinomani. Ci sono dolori buoni: come talvolta il sentirsi in colpa, cosa questa di cui Eichmann sembrava non avere bisogno, a tal punto si era convinto dell’idea che «il peccato imperdonabile era… provocare sofferenze inutili».