Il cammino e la vita più degli anni contano i passi
Giovanni Gazzaneo
Il cammino siamo noi. Noi che contiamo i passi e non gli anni. I primi passi insicuri e gioiosi del bimbo verso la madre e il padre. I passi leggeri dell’amato verso l’amata. I passi degli amici verso la meta comune. I passi del filosofo e dello scienziato verso la verità. I passi dell’artista e del poeta negli abissi e nella bellezza. I passi del politico verso il bene del popolo. E i passi delle beatitudini: dei poveri in spirito, degli afflitti, dei miti, di chi ha fame e sete di giustizia, dei misericordiosi, dei puri di cuore, degli operatori di pace, dei perseguitati… Con Isaia percepiamo tutta la gioia, la potenza e la grazia di colui che porta l’Annuncio: «Quanto sono belli sui monti i piedi del messaggero di buone novelle, che annunzia la pace, che reca belle notizie di cose buone, che annuncia la salvezza, che dice a Sion: “Il tuo Dio regna!”» (52,7).
Ai passi di marcia che fanno dei nostri manuali di storia un regesto di morte e distruzione preferiamo i passi di danza degli innamorati della vita, i passi malfermi dei malati e degli anziani, il passo sfinito del camminatore che vuole comunque raggiungere la meta.
È Dio stesso a rendere l’uomo un viandante, un viaggiatore, un pellegrino. Ad Abramo YHWH dà un solo semplice ordine: «lek lekà», cioè “vattene”, che può essere tradotto anche “va verso te stesso”. Non possiamo negare noi stessi: il movimento è intrinseco alla nostra vita. Il nostro è un “essere per”. Il cammino, il viaggio è l’archetipo della vita di ogni uomo. Il vero viaggiatore è sempre un “viaggiatore dello spirito”: ha compreso che la realtà che lo circonda non è il solo orizzonte della storia, sua e degli altri. Il pellegrinaggio interiore (attraverso la conoscenza di sé, la lotta spirituale, l’ascolto della Parola) non è alternativo al pellegrinaggio del cammino fisico, della fatica, del sacrificio. Il “mettersi in strada” è essenziale per quell’essere simbolico che è l’uomo. Può sorgere da una chiamata oppure, come per Ulisse, dall’umano desiderio di sondare il mistero: ma ogni cammino degno di questo nome nasce sempre da una speranza. Abramo, Mosè, i Magi, Dante ci dicono che la nostra vocazione ha a che fare con la strada. E Dio che si fa uomo sceglie la strada: monti, colline, piazze, spiagge e pianura della Terra d’Israele diventano l’orizzonte della Parola che non passa. Sulla strada si compie la missione di Gesù: «Le volpi hanno tane e gli uccelli del cielo nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Lc 9,58).
Anche per l’uomo di oggi la via esprime una valenza vitale e simbolica. Il romanzo On the road di Jack Kerouac, aperto dalla dichiarazione “La strada è la vita”, esprime una civiltà che nel movimento sempre più accelerato celebra il suo trionfo, ma sente il brivido della frenesia e del vuoto, del non avere una meta. Eccoci allora ridotti a vagabondi e trekker.
Sul Cammino di Compostela abbiamo fatto amicizia con viaggiatori veri. Nella piazza di Santiago abbiamo incontrato i passi del mondo, da Taipei a Brasilia, da New York a Lubecca. Gente di ogni età, di ogni lingua, di ogni livello di cultura e di censo. In cammino per i motivi più diversi, ma tutti alla ricerca di se stessi, degli altri, e, anche se non lo sanno, di Dio. Kurumi, 10 anni, dal Giappone, che ha percorso 850 chilometri del Cammino con il suo papà. Francesca, 25 anni, da Reggio Emilia, che la prima notte in ostello desiderava tornare a casa ed eccola ora sorridente alla meta: «Il cammino ti mette a nudo, mostra i lati oscuri e belli della vita. Io li ho abbracciati e li ho portati con me dai Pirenei fino alla cattedrale dell’apostolo». E poi Davide, 42 anni, di Scarlino, affascinato dai misteriosi pellegrini già da piccolo, con le vesciche fin dal primo giorno e quella gioia che l’ha sempre accompagnato. Rolando, 62 anni, da Bressanone, in cammino per 274 ore con i volti nel cuore delle persone che ama, dei due figli militari.
Non possiamo pensare l’Infinito, ma possiamo seguire le tracce, ascoltare la voce, cogliere i bagliori, lasciarci abbracciare. L’Infinito è l’orizzonte per i passi della nostra vita. E non ci fermeremo. Non ci fermeranno. Anche l’ultimo giorno, quando emetteremo l’estremo sospiro di questa nostra fragile e meravigliosa esistenza siamo certi che quel momento sarà l’inizio del grande Viaggio. E l’Eternità che abbiamo cercato e invocato si aprirà ai nostri nuovi passi.