Il Cenacolo della Parola spezzata
«Mentre Gesù sedeva a tavola…» (Mt 9,10); «venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici» (Mt 26,20); «mentre erano a tavola e mangiavano, Gesù disse…» (Mc 14,18). I Vangeli ci raccontano una quindicina di pasti di Gesù: l’insistenza su questo tratto della sua persona è portatrice di un messaggio, ben più che semplice attestazione. Gesù è un rabbi che ama i banchetti, ama la tavola quale luogo eminente di incontro. Sa bene, infatti, che a tavola si celebra la vita, l’amicizia, l’amore, e lo si fa con pane, vino e olio, con la sapiente trasformazione dei beni creati da Dio. Sa che la comunione della tavola ha un significato simbolico ben più ampio della mera condivisione del cibo. A tavola Gesù conversa con facilità, stringe amicizia, accetta le discussioni. Con uno sguardo attento e intelligente, potremmo cogliere come ogni pasto di Gesù abbia una sua particolarità, è un incontro non ripetibile, perché la sua presenza conferisce alla possibile banalità di questa azione un significato più intenso: il pasto diventa momento forte nella vita, la possibilità della gioia condivisa, l’accoglienza di una presenza straordinaria.
Di più, ogni incontro a tavola è per Gesù occasione di annuncio del Regno veniente, nelle forme e nei modi più vari. Egli parla con frequenza di tavola e di banchetto per profetizzare la condizione di comunione con Dio nel Regno, e sceglie la tavola come luogo che raduni i suoi discepoli per vivere la sua memoria dopo la sua morte-resurrezione. Stare a tavola per Gesù è dunque anche un segno, una parabola vissuta del significato della sua stessa missione: portare la presenza di Dio nel mondo, avvicinare il regno di Dio ai peccatori, a chi si sente escluso e lontano. Tutto questo attraverso gesti concreti e semplicissimi: osservando come alcuni prendono i primi posti ai banchetti insegna l’umiltà (cfr. Lc 14,7-14); riconoscendo e accogliendo i gesti d’amore di una donna peccatrice, ne accetta il pentimento e la difende da chi la condanna (cfr. Lc 7,36-50)…
Gesù desidera mettersi a tavola con le persone con cui entra in relazione e proprio per questo si lascia volentieri invitare da tutti: peccatori pubblici, uomini religiosi, amici e nemici. Ma egli stesso invita altri a tavola: le folle affamate di cibo e di senso, per condividere con loro (a una tavola un po’ particolare, un verde prato) i pani e i pesci; i discepoli, per lasciare loro il memoriale eucaristico, con i gesti sul pane e sul vino, e il memoriale del servizio reciproco, con la lavanda dei piedi. Addirittura, quando si manifesterà quale risorto ai suoi amici, lo farà condividendo ancora una volta con loro il cibo: spezzerà il pane, gesto di fronte al quale due discepoli lo riconosceranno (cfr. Lc 24,30.35); con sette discepoli ai bordi del lago di Tiberiade, mangerà un’ultima volta pane e pesce (cfr. Gv 21,4-14).
Da Cana a Emmaus, sempre Gesù ha celebrato la tavola come luogo di alleanza, di umanizzazione, come spazio privilegiato per esercitarsi a vivere la fede-fiducia, la speranza, l’amore; insomma, la tavola come luogo di vita piena. Ecco perché un padre del deserto ha affermato: «Togli a Gesù la tavola e cosa gli resta? Ben poco, anche se pochi lo capiscono!».