Due papi per una Chiesa in cammino
Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II saranno canonizzati assieme il 27 aprile, domenica della Divina Misericordia, cara a papa Wojtyła. La decisione di Francesco è un messaggio. Entrambi i papi sono molto legati al Vaticano II. Roncalli (papa dal 1958 al 1963) è stato il padre dell’evento conciliare, da lui convocato e inaugurato. Wojtyła ha partecipato attivamente a tutto il Vaticano II. Ha recepito il Concilio a Cracovia con il coinvolgimento del popolo in modo originale. Una volta papa, nel 1978, ha posto il suo pontificato nella prospettiva del Vaticano II, da lui considerato una luce anche per il futuro della Chiesa. Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II sono figli di stagioni storiche differenti, ma uniti dal Concilio e dall’apertura con simpatia al mondo contemporaneo.
C’è un unico incontro tra il giovane vescovo e il vecchio papa: a Roma l’8 ottobre 1962, quando Giovanni XXIII ricevette il primate Wyszyński con i vescovi polacchi «che circondai di ogni più cortese cordialità», scrive il papa nell’agenda. Wojtyła, vescovo da quattro anni e amministratore di Cracovia, era in quel gruppo. Papa Giovanni è stato molto amato dai cattolici polacchi, per la comprensione dimostrata verso la linea del primate nei confronti del comunismo: fermezza e dialogo, ma anche cautela nell’evitare il rischio dell’invasione sovietica. Una posizione invece non apprezzata da Pio XII. Eppure, da patriarca, Roncalli nel 1956 era andato alla stazione di Venezia a salutare con deferenza Wyszyński in viaggio da Varsavia a Roma.
Giovanni XXIII aveva voluto incontrare i vescovi polacchi, appena arrivati a Roma per il Concilio. Aveva ricordato la sua visita in Polonia nel 1929. Allora era stato nel santuario nazionale della Madonna nera di Częstochowa. Aveva visitato pure Cracovia, dove aveva celebrato la Messa nella cattedrale di Wawel. È un particolare che il papa avrà probabilmente evocato salutando, tra i vescovi, il quarantaduenne Wojtyła. Fece anche molto piacere ai vescovi una battuta di Roncalli che, con simulata casualità, ricordò l’erezione di un monumento a un bergamasco, Francesco Nullo, «nelle terre occidentali recuperate dopo secoli». Il Vaticano, da un punto di vista diplomatico, non riconosceva i confini stabiliti dopo la Seconda guerra mondiale. Tuttavia, nonostante l’opposizione tedesca, Giovanni XXIII intendeva aiutare la Chiesa polacca, mostrando sintonia con il sentimento nazionale.
Karol Wojtyła ha amato e stimato Giovanni XXIII da vescovo e, da papa, lo ha beatificato. Nel 1981 si è anche recato in visita al suo paese natale, Sotto il Monte. Del resto papa Roncalli ha rappresentato la rottura con quel pessimismo che aleggiava nella Chiesa della guerra fredda. La sua apertura agli altri non è stata ingenua bonomia, ma un modo profondo di concepire la missione della Chiesa nel XX secolo. Per lui, la Chiesa doveva andare incontro agli altri con franchezza e amabilità. Gli altri erano i non cattolici: quegli “uomini di buona volontà”, ricordati nella sua enciclica del 1963 sulla pace, Pacem in terris, quasi il suo testamento. Del resto, durante tutta la sua vita, Angelo Roncalli aveva praticato l’arte dell’incontro con gli altri: gli ortodossi in Bulgaria, Grecia, Turchia (sino a incontrare due patriarchi ecumenici a Istanbul), gli ebrei nei tempi della persecuzione, i musulmani non solo in Turchia, ma in Nordafrica mentre era nunzio a Parigi, i laici e i socialisti in Francia... Persino verso i diplomatici sovietici (con cui i rappresentanti del papa non dovevano avere alcun rapporto) aveva manifestato cortesia. E aveva mantenuto – come riusciva – quei rapporti, stretti nelle diverse stagioni della sua vita.
Roncalli amava viaggiare: aveva percorso tutta la Francia durante la sua nunziatura; conosceva molti Paesi della riva Sud del Mediterraneo; aveva visitato i Balcani e la Turchia. Divenuto papa, compì un viaggio fuori Roma con il pellegrinaggio a Loreto e Assisi, che suscitò tanto entusiasmo perché per la prima volta dal 1870 il papa usciva dall’Urbe. Con quello spostamento di un giorno, si apriva la via dei grandi viaggi papali. Giovanni Paolo II ha amato anche lui gli incontri e i viaggi. Quando venne a studiare a Roma (dal 1946 al 1948), viaggiò non solo in Italia – ad Assisi, Firenze, San Giovanni Rotondo da padre Pio – ma anche in Francia, dove conobbe i preti operai e visitò Ars, e in Belgio. Negli anni del comunismo non era facile uscire dalla Polonia, ma il cardinale Wojtyła realizzò numerosi viaggi in Europa, negli Stati Uniti, in Canada, Australia e Nuova Zelanda, nelle Filippine e in Nuova Guinea. Al momento dell’elezione a papa nel 1978, non aveva ancora conosciuto né l’America Latina né l’Asia continentale.
Il suo primo viaggio apostolico fu nel 1979 in Messico, un paese difficile con un governo laicista. Giovanni Paolo I aveva cancellato la visita, invece, confermata dal successore. Durante il viaggio messicano, il papa si rese conto dell’importanza di visitare i cattolici nella loro terra: «Quel pellegrinaggio – dichiarò – ha in certo qual modo ispirato e orientato tutti i successivi anni del mio pontificato». Infatti l’orientamento del lungo pontificato wojtyłiano (1978-2005) è stato quello dell’incontro e della comunicazione del Vangelo. Tale impegno è continuato, anche quando il corpo del papa era duramente segnato dalla malattia. Non era possibile per lui comunicare il Vangelo senza incontrare le persone e farsi raggiungere da loro. Karol Wojtyła, da papa, ha anzi vissuto un’ascesi dell’incontro. Non prendeva nessun pasto da solo, ma sempre in compagnia degli ospiti. Non celebrava mai la Messa da solo. In tutto il pontificato, papa Wojtyła ha dedicato 54 viaggi all’Europa dei 104 nel mondo (eccetto quelli in Italia). Ritorna in alcuni Paesi, quasi per continuare il dialogo: in Francia (sette volte), Cechia (tre volte e solo dopo l’89), Germania (tre volte), Svizzera (quattro volte), Spagna (cinque volte), Polonia (nove volte).
Giovanni XXIII aveva voluto rimettere in movimento la Chiesa, aprire le porte e le finestre all’aria del mondo con il Concilio, per meglio comunicare la fede e la speranza. Paolo VI è stato la guida del Concilio e l’architetto della riforma postconciliare (che ha conosciuto la grave crisi della polarizzazione del cattolicesimo). E Wojtyła ha camminato nello spirito dei due predecessori, portando il nome di entrambi. Attraverso un lungo pontificato, con una determinazione generosa, ha cercato di abbracciare il mondo, consapevole che non si può comunicare senza incontrare. Nel 1980, in Zaire, Giovanni Paolo II risponde all’obiezione di chi gli rimprovera le prolungate assenze da Roma, e tratteggia la sua filosofia apostolica: «Ma la gente di qui dice: “Ringraziamo il Signore perché sei venuto, perché puoi imparare a conoscerci soltanto venendo da noi. Come potresti essere il nostro pastore senza conoscerci?”... Questo mi conferma nella convinzione che è tempo per il vescovo di Roma di diventare il successore non soltanto di Pietro ma anche di Paolo, che, come ben si sa, non riusciva a star fermo un minuto ed era sempre sul piede di partenza».
di Andrea Riccardi