Destino e desiderio quando il dono dà respiro alla vita
Giovanni Gazzaneo
In principio è il dono. E il dono è la radice dell’essere. Ma il mondo non conosce il dono. La logica di mercato, che tutto riduce a scambio, non può concepire qualcosa che vada oltre il regalo. Perché il regalo è misurabile in cartamoneta, ma il dono non conosce misura. Sgorga dall’amore e, come l’amore, non si compra e non si vende.
Non c’è vita senza dono: l’amore ci porta alla vita e solo l’amore ci tiene in vita. Ogni donna e ogni uomo sono frutto di un dono. Di più: noi siamo il dono.
Santo è colui che rende grazie perché si scopre dono. In lui il desiderio dell’uomo coincide con il suo destino. Diverse biografie per un’unica storia, scritta nel Cantico dei Cantici, la storia di una relazione d’amore. Protagonisti l’uomo e la donna, e, insieme, la creatura e il Creatore: essere dono per l’altro, ricevere l’altro in dono: «Io sono del mio amore, e per me è la sua passione» (Cantico dei Cantici 7,11). In una ricerca che non ha mai fine. E come potrebbe? «Dio è amore» dice Giovanni nella sua prima lettera (4,8) e «l’amore è da Dio» (4,7). Basta un sì e tutto accade. Anche dare alla vita il figlio dell’Altissimo. Come Maria, la tutta santa, «noi amiamo perché Egli ci ha amati per primo» (4,19).
L’eroe conosce solo il coraggio della lotta. Il santo conosce il coraggio supremo, quello della resa. E non al nemico, ma all’Amico, allo Sposo, al Fratello, al Figlio. La resa a un amore che tutto crea, tutto sopporta, tutto rinnova. Senza una resa incondizionata non c’è santità. In questo lasciarsi vincere, in questo lasciar prendere tutto di sé, in questo smettere i panni del protagonista perché l’Altro sia tutto, in questo riconoscersi semplicemente creatura, figlio e figlia, la santità si manifesta. E si fa respiro nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia.
«Cammina sempre alla presenza del Signore e sarai santo», dice san Tommaso d’Aquino. Non importa dove e neppure quando: ciò che conta è il cammino e lo sguardo d’amore che ci accompagna.
«I santi hanno il genio dell’amore», scrive Georges Bernanos, perché «solo i santi sono bambini», animati dal coraggio della speranza che non tramonta. «La santità è una necessità – continua Bernanos –, i santi custodiscono quella vita interiore senza la quale l’umanità si degraderà fino a morire. È nella propria vita interiore che l’uomo trova le risorse necessarie per sfuggire alla barbarie e alla schiavitù bestiale del formicaio totalitario». La schiavitù del formicaio la viviamo nel nostro mondo massificato e globalizzato, dove ancora una volta emerge il “suddito ideale”, delineato da Hannah Arendt, per i regimi totalitari: colui per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più. Rinuncia così a essere persona, alla sua libertà, alla sua capacità di giudizio, al suo relazionarsi con gli altri, col mondo, con Dio. Il santo è il totalmente altro rispetto all’anonimo uomo-massa sperso nella distrazione del mondo liquido. Occhi che vedono, orecchie che ascoltano, cuore che batte: il santo è colui che è presente senza essere schiacciato dal presente, ha radici ben piantate sulla terra e una chioma rigogliosa nel cielo. Per Gilbert Keith Chesterton «il santo è un farmaco perché è un antidoto. Questo è il motivo per cui spesso il santo è un martire: viene scambiato per un veleno perché è un antidoto. In genere è uno che cerca di ricondurre il mondo alla ragione, mettendo in evidenza le cose che il mondo trascura, che non sono sempre le medesime nelle varie epoche». Anche nelle epoche più oscure, anche nel buio della persecuzione nazista, è possibile una luce, come quella di Etty Hillesum, che scrive, nel lager di Westerbork, il suo canto di liberazione, per lei e per noi: «Fa’ che ogni mia giornata sia qualcosa di più che le mille preoccupazioni per la sopravvivenza quotidiana. E tutte le nostre preoccupazioni per il cibo, i vestiti, il freddo, la salute, non sono forse altrettante mozioni di sfiducia nei tuoi confronti, mio Dio? E non ci castighi forse con l’insonnia, e con una vita che non è più una vita? […] Amo così tanto gli altri perché amo in ognuno un pezzetto di te, mio Dio. Ti cerco in tutti gli uomini e spesso trovo in loro qualcosa di te. E cerco di disseppellirti dal loro cuore, mio Dio».