La forza delle rovine, abissi del tempo
Il termine sembra sancire una condizione di oblio. Ma le rovine sono in realtà un deposito di memoria attiva: recano impressi le intenzioni, le passioni e le abilità dei costruttori, il sommarsi delle epoche, le ferite della storia; e anche l’intrecciarsi della natura con strutture e superfici, corrodendole e proteggendole, com’è avvenuto per tante architetture mesoamericane. Lo studio delle rovine ci porta a raggiungere civiltà che, sebbene scomparse, persistono proprio in quei monumenti mozzi, corrosi, sfigurati. I ciclopici monumenti egizi continuano a cantare la gloria di personaggi che ambivano a varcare i confini dell’eternità; ancor oggi sono un importante terreno di studio per gli archeologi. Sono rovine la cui eloquenza non cessa di stupire. Come quelle di tanti siti cinesi che nelle raffigurazioni scultoree recano impresso il sigillo di un potere che si pensava sconfinato. Le rovine sono state guardate con un certo distacco nell’antichità greco romana, sono state indagate con interesse nel Rinascimento. L’Illuminismo le ha rivalutate come strumen di una coscienza universale.
Alain Schnapp, Storia universale delle rovine. Dalle origini all’età dei lumi. Einaudi, pagine 936, euro 120.