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pentagramma 175

​«Senza Bach la teologia sarebbe sprovvista d’oggetto, la Creazione fittizia, il nulla perentorio; se c’è qualcuno che deve tutto a Bach, questi è proprio Dio». Ha scelto la strada dell’iperbole e della provocazione, Emil Cioran. Ha voluto porre l’accento sui principi che strutturano il rapporto inscindibile e fecondo tra la dimensione artistica di uno dei più geniali compositori della storia e la sua autentica vocazione di uomo di fede. Ha individuato in questo nesso il criterio di unità, originalità e universalità con cui Bach ha posto il sigillo definitivo alla sua traiettoria creativa.

Il Maestro di Eisenach è lontano dai vizi ideologici che, da un lato, rivendicano per lui il ruolo di “quinto evangelista” – tendendo a sminuire il suo valore di musicista a vantaggio di quello di disquisitore teologico – o che, dall’altro, lo vorrebbero un puro artigiano del pentagramma, una sorta di metodico funzionario della Chiesa di Stato luterana fedele alle commesse del suo “datore di lavoro”. Il vero paradosso di Bach è che, pur non avendo mai scritto una vero e proprio melodramma da eseguire su un palcoscenico, con la teatralizzazione senza scene delle sue grandi pagine sacre continua ancora oggi, dopo tre secoli, a ispirare e interrogare fior fiore di compositori, anche tra le avanguardie più agguerrite. E cattura l’attenzione dell’ascoltatore, toccandolo nei sentimenti più profondi.

La sterminata e policroma produzione di Cantate da chiesa – che Bach ha forgiato su una solida struttura teatrale di derivazione italiana (scandita da arie, recitativi, duetti, cori) – raggiunge un’«imponenza ciclopica dei volumi e delle architetture» (per usare le parole di Hans Urs von Balthasar) fino a diventare modello di riferimento per gli Oratori e le Passioni. Qui il racconto unito di parole e musica sprigiona un senso di vertigine generato da spazi sconfinati e monumentali proporzioni che si spalancano su musiche coinvolgenti e commoventi, nelle quali si riflettono la sete d’infinito e le domande sul mistero della vita che riecheggiano nell’animo di ogni uomo.

Il sigillo dell’invenzione melodica e del magistero contrappuntistico bachiano si traducono in arte pura, sublime. Fantasia, rigore e perfezione delle forme culminano in un ideale di polifonia che rappresenta una tregua tra i contrasti; una sintesi che non annulla le tensioni, ma tende sempre a risolverle in meravigliose consonanze, soluzioni di armonia, serenità ed equilibrio. Perché, come affermava Wolfgang Goethe in un’ipotetica replica “preventiva” all’affermazione di Cioran, «Bach è un dialogo dell’Onnipotente con se stesso prima della Creazione».

di Andrea Milanesi

(ha collaborato Alessandro Beltrami)