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pentagramma 1

​«Non da me, tutto proviene da lassù!». Con queste parole il 27 marzo 1808 il settantaseienne Franz Joseph Haydn, alzando una mano verso il cielo, rispose all’ovazione esplosa in seguito all’improvviso fortissimo dell’orchestra alle parole «Es ward Licht» (“E la luce fu”). A Vienna si eseguiva La creazione, un capolavoro audace e fortemente innovativo nella scrittura orchestrale, destinata a essere protagonista accanto alle voci nel dipingere, letteralmente, i momenti della Genesi, a partire dalla celebre e straordinaria descrizione del caos che apre la partitura. Pagine ardite, che costruiscono mondi sonori inauditi e che anticipano il romanticismo.

Con questo oratorio e con le Sette ultime parole di Cristo sulla Croce, Haydn è stato il solo autore del XVIII secolo riuscito nell’impresa di innovare e sperimentare attraverso la composizione di opere sacre. Il genere-laboratorio per eccellenza era allora (e sarà in futuro) quello strumentale: sinfonie, quartetti e sonate, ambiti che, non a caso, trovarono in Haydn il grande padre-pioniere. A quell’epoca, e ormai da oltre un secolo, la musica sacra non ricopriva infatti più un ruolo centrale per i maestri del pentagramma; se ne scriveva molta, talvolta di qualità eccelsa, ma Ordinarium Missae, mottetti e vespri si rivelano spesso forme di routine. Sono poche le eccezioni, come le sei Messe scritte da Haydn verso la fine della carriera (dalla Missa in Tempore Belli alla Harmoniemesse), lavori in cui la forma liturgica viene investita di una forte carica individuale: un segno della secolarizzazione incipiente e delle difficoltà future dell’arte religiosa in generale, dove la dimensione estetica del sacro non dipendeva più da una visione comunitaria ma diveniva espressione del singolo.

Testimonianza paradigmatica di questo processo è la Missa Solemnis di Ludwig van Beethoven, vertice dell’esigua produzione musicale di carattere religioso del genio di Bonn (insieme con l’oratorio Cristo sul monte degli ulivi e la Messa in do maggiore per il principe Esterházy). Si tratta di una composizione solo formalmente liturgica: con la partitura ipertrofica e titanica della Missa solemnis, Beethoven non solo ha trasposto in ambito sacro la sua peculiare tendenza allo sviluppo estremo delle forme fino al loro esaurimento storico, ma ha riversato in un contenitore in apparenza ideologicamente ben definito una visione del tutto personale della divinità e una concezione del sacro sostanzialmente panteista. La sua Missa, “tellurica”, sconvolgente, è il corrispettivo sonoro delle visioni del pittore Caspar David Friedrich: segni di una sacralità del cosmo che precede la Rivelazione.

di Andrea Milanesi

(ha collaborato Alessandro Beltrami)